Autore Redazione
mercoledì
21 Agosto 2024
09:21
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Tempo Libero - Novi Ligure

La chiave per parlare della vita. Recensione di “Funerale all’italiana” ad Hortus Conclusus

Il presente attraverso il passato nello spettacolo interpretato da Benedetta Parisi che ha segnato l'inizio del festival novese ideato e diretto da Andrea Lanza
La chiave per parlare della vita. Recensione di “Funerale all’italiana” ad Hortus Conclusus

NOVI LIGURE – Un tono colloquiale e un incipit che gioca ironicamente, come in una stand up comedy, sul tema funereo, con un ringraziamento ai presenti vivi, nella certezza di rimanere tali molto meno di quanto saremo in futuro morti. Inizia così “Funerale all’italiana”, interpretato da  Benedetta Parisi, da lei scritto insieme ad Alice Senigaglia, che ne ha curato la regia, e presentato ieri 20 agosto ad Hortus Conclusus, la rassegna ideata e diretta da Andrea Lanza che proseguirà sino ad ottobre. Il prossimo appuntamento di Hortus sarà giovedì 22 agosto con il Piccolo Cinema in Hortus a cura di Andrea De Rose, che presenterà il film Still Life, con la regia di Umberto Pasolini. Qui il programma di questa prima settimana del festival.

“Funerale all’italiana” si svolge come una cerimonia funebre officiata non da un sacerdote (dopo averne verificato l’assenza), ma dalla protagonista-nipote della defunta. Il registro è confidenziale e brillante, contrasta con la severità di un pulpito al centro della scena e punta sulla consapevolezza profondamente umana del binomio inscindibile vita-morte. Dalla fine di un’esistenza (quella reale della nonna della protagonista) inizia una sorta di flusso di coscienza, che parte da ricordi di giochi infantili e racconta per immagini di un mondo passato, perché “i morti restano” e sono nelle cose che ci circondano, oltre che nei pensieri. E allora la morte è un pretesto per parlare di vita, di confronto tra generazioni, di amore, di maternità e di vecchiaia. Diventa una discriminante, un attimo che trasforma la prospettiva e capovolge il tempo “da tutta la vita davanti a il resto della mia vita”.

Benedetta Parisi fa sorridere evocando l’amore limpido e fermo dei suoi nonni e dà forma al loro sentimento danzando una danza contorta, di corpi anziani sbilanciati, sulle note di “Aggio perduto o’ suonno” di Mina. Il suo è uno sguardo dall’esterno, toccato dalla tenerezza, ma anche dalla curiosità e dallo stupore di fronte ad un modello di amore e dedizione che pare non appartenere all’oggi, che sembra uscito da un film con Gary Cooper e che sa di ideale.

Sebbene tutto il monologo sia intessuto di leggerezza e di interazione amichevole con gli spettatori, il confronto generazionale prevale e mette in luce tappe della vita importanti da sempre, seppur vissute diversamente. E qui “Funerale all’italiana”, titolo evidentemente ispirato all’allestimento cinematografico di De Sica di Filumena Marturano di Eduardo, attinge alla sua fonte teatrale primaria. In un fluire di ricordi, cui si intrecciano invenzione drammaturgica e racconti di paese, emerge una bisnonna che fa proprio il famoso dialogo di Filumena con la Madonna delle rose. Benedetta Parisi, il capo coperto da un drappo di pizzo, si trasforma in una madre fuori dal tempo e lascia sospeso l’interrogativo “C’aggia fa’?”, che, in questo caso, rimarrà senza risposta di fronte al vuoto della morte di un figlio neonato.  Ancora una volta un fatto funereo diventa l’occasione per parlare di altro, con le voci registrate di donne intervistate sulla loro esperienza di maternità.

Se fine e inizio, morte e vita sono una dicotomia necessaria e un mistero da accettare, più che da indagare, non sembra neppure strano immaginare in grande il proprio funerale, con pianti straziati e poi una grande festa danzante. Ed è danzando, perché è nella danza che da sempre si consuma il rito, che Parisi passa dalla disco più sfrenata al ballo claudicante eppure armonioso dei nonni: un confronto e un trait-d’union tra generazioni che, in fondo, si tramandano identici slanci e desideri. Il passato fa parte di noi, ma non risolve, né dà soluzioni. La voce del reale nonno della protagonista, che sembra uscire dal vecchio registratore sulla scena, conclude, non fornisce istruzioni per l’uso, ma solo la prova di un amore e di una dedizione durati una vita.

Uno spettacolo che fa della leggerezza lo strumento per abbracciare un tempo storico dilatato alla luce di un argomento, la morte, che leggero non è, ma che, se dissacrato, può permettere di parlare del presente attraverso il passato. Un’ottima interpretazione, sempre equilibrata tra interazione con il pubblico, commozione, registro ironico e divertita tenerezza. Un buon inizio, sicuramente molto applaudito, per la prima settimana di agosto di Hortus Conclusus.

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