23 Novembre 2024
12:10
L’importanza delle storie. Recensione di “Non è la storia di un eroe” al Teatro San Francesco
ALESSANDRIA – “Io sono un attore e il mio compito è raccontare storie”. “Non è la storia di un eroe” di e con Mauro Pescio, tratto dal suo podcast “Io ero il Milanese”, è stato paragonato ad un reportage giornalistico, per esattezza e rigore, ma è di più ed è altro, perché ha il potere evocativo ed emozionale che solo le storie ben raccontate hanno. Lo spettacolo è stato presentato ieri, 22 novembre, al Teatro San Francesco, secondo appuntamento della stagione Radici 3, organizzata e diretta dalla Compagnia Stregatti, e ha riempito il teatro, confermando il successo delle scelte artistiche del cartellone.
Serve intuizione per scoprire tra tante la storia giusta, quella che può rivoluzionare anche il pensiero altrui, e serve la capacità di renderla viva in ogni suo momento. Mauro Pescio ha incontrato Lorenzo S, ex rapinatore redento e poi diventato presidente di una cooperativa di mediazione penale, in seguito ad una ricerca per un altro progetto, e l’intuizione è stata immediata. Ne è nato il celebre podcast “Io ero il Milanese” di RaiPlay Sound , diventato poi un libro e infine uno spettacolo teatrale, a testimonianza e custodia di una storia straordinaria.
La sua vicenda scende negli abissi cui può giungere un essere umano, ma è anche uno scavo interiore alla ricerca della luce e una riflessione sulle circostanze sfortunate della vita, sulla giustizia e sulla mancanza di alternative in determinate condizioni. Pescio racconta di come ha conosciuto Lorenzo, il cui nome nell’ambito criminale era il Milanese, ma anche “il bandito che veste Armani”, ripercorre la sua vita a partire dall’infanzia passata a visitare il padre, a sua volta rapinatore, in carcere, per arrivare alle cattive e inevitabili frequentazioni e ai primi furti.
La sua voce si alterna a quella registrata del protagonista, la cui pacata ragionevolezza nell’enumerare le tappe di un’esistenza di “fughe, inseguimenti, latitanze e carceri” accresce la comprensione logica della deriva criminale e, nel contempo, ne esaspera il coinvolgimento emotivo. I singoli fatti sono calati in un contesto che sembra ricrearsi in modo nitido con il solo strumento della parola e di alcuni disegni che si materializzano su uno schermo, immagini che evocano un viaggio verso la Sicilia, sbarre, sacchi dell’immondizia per contenere indumenti, detenzione e cambiamento.
Una storia può colpire per la sua universalità, perché chi ascolta vi si può immedesimare, oppure per il suo messaggio, quando svela qualcosa di nascosto ma ben presente. Nella storia del Milanese si ritrova la forza di reinventarsi una vita a partire dalle macerie di un’esistenza fallimentare, ma si scopre anche qualcosa di scomodo, ovvero un sistema carcerario, soprattutto minorile, violento (più di quello delle carceri per adulti) e diseducativo. Si scopre l’importanza, nel bene e nel male, di certi incontri, si rinnova, ascoltando della morte per malattia del figlio di Lorenzo durante l’assenza del padre latitante, l’esperienza del lutto e della colpa. Nella decisione ferma di delinquere, presa durante la prima detenzione da ragazzino, sta l’amara riflessione circa il fallimento di quello che dovrebbe essere un percorso di riabilitazione, ma sta anche la scelta successiva e matura di Lorenzo di studiare e di intraprendere il percorso di mediatore penale.
Sono tappe di un cammino di vita passata tra lunghi periodi di carcerazione e pochi, inebrianti e dissipati, momenti di libertà. Infine la svolta nel carcere di Padova con il lavoro nella redazione interna del giornale “Ristretti Orizzonti” e con alcuni incontri importanti. Soprattutto, un pizzico di fortuna: la drastica riduzione della pena e la scarcerazione grazie all’impegno di un avvocato d’ufficio. Un uomo che cambia e diventa prezioso, con il suo lavoro, per la società rappresenta una rivoluzione e la sua storia deve essere raccontata, perché universale. Siamo a teatro e la conclusione di Pescio è il riferimento teatrale più universale possibile, ovvero l’ultima battuta di Amleto che affida la sua storia ad Orazio, che, vivendo, potrà raccontarla. Ed ecco perché le storie sono e saranno un patrimonio finché qualcuno le narrerà.