11 Maggio 2025
07:00
E’ iniziato con Lorenza Zambon e Giovanni Storti il minifestival La casa in Collina
CASTAGNOLE MONFERRATO – Natura e teatro, come l’arte e il paesaggio, sono elementi inscindibili a La casa in collina, il minifestival iniziato ieri 10 maggio a casa degli alfieri. Oggi il palinsesto terminerà con Silvia Mai, nel suo lavoro performativo “Oikos/Sono”, e con il ritorno di O Thiasos TeatroNatura con la nuova creazione ispirata ad una novella orientale di Marguerite Yourcenar: “Un mare di giada”, narrata da Sista Bramini.
La casa in collina ha da sempre un’anima ed è quella della sensibilità e della passione di Lorenza Zambon, l’attrice-giardiniera che ha l’ha ideata a partire dal 2015. Il minifestival è familiare e incantevole, conviviale e non convenzionale come la casa degli alfieri, immersa in un paesaggio di colline e circondata dal giardino di Lorenza, attraente e un po’ selvatico, bello di una bellezza vera e non addomesticata.
Qui non si può non parlare di natura e di questo tratta “Zattere fra i rami. Cose che accadono nelle foreste”, la nuova narrazione di Zambon su un fatto tristemente reale e molto recente. Sempre di natura ha parlato Giovanni Storti e precisamente della sua decisione di abitare in Monferrato, della scoperta di questo territorio e del suo modo di viverlo. Un ri-abitare, il suo, sino al mettere le mani nella terra, per scoprire che “nella terra ci sono dei batteri che danno la felicità”. Qui l’articolo sul suo intervento.
Al riparo degli alberi maestosi della casa degli alfieri Lorenza Zambon ha dato nuova vita alla storia di quello che fino all’autunno scorso è stato il bosco urbano di Gallarate. La storia, che finisce male, perché “questi sono i tempi”, di un bosco di due ettari raso al suolo, nonostante le tante proteste, per costruire una scuola che sostituirà altre scuole abbandonate. Un fatto di cronaca apparentemente comune: un’area verde (ma, in questo caso, non un prato, ma un vero bosco con tante specie animali e alberi cinquantenari) tanto per cambiare cementificata contro il legittimo parere di comitati e liberi cittadini, eppure una vicenda con tanti risvolti e un respiro molto più ampio.
E’ la narrazione teatrale a dare il giusto peso a ciò che potrebbe essere sottovalutato, con un testo che dà voce e volto ai protagonisti della protesta e ad un meccanismo di aiuto reciproco (“una collisione che genera energia”) tra generazioni differenti. Il racconto ha un andamento epico, diventa una grande storia dove attivisti anziani (alcuni di loro presenti a casa degli alfieri) collaborano, presidiando il bosco cintato da una rete, con un gruppo di giovanissimi che lo occupano. “Due gruppi di umani molto diversi tra loro” (sembra di vedere le teste sale-pepe e gli occhiali dei primi come i pantaloni larghi e i tatuaggi dei secondi) che non solo agiscono in vista dello stesso scopo, ma si aiutano, si legano tra loro e diventano una comunità solidale.
Allora la storia degli alberi cinquantenari seminati dagli allora bambini del quartiere si intreccia con quella dei giovani di oggi che ne vengono privati, con la morte di un intero ecosistema che rappresentava l’unica area verde in zona. Solo una precisa scrittura teatrale e una narrazione capace di far scorrere davanti agli occhi tutto ciò può rappresentare la connessione di tante vite, la troncatura artificiale e forzosa del lavoro del tempo e della natura. Lorenza Zambon racconta con apparente naturalezza e con sapienza ben calibrata, passa dal registro discorsivo a sfumature ironiche a momenti di tensione drammatica, per concludere, con un tono realisticamente disilluso, che “questa storia finisce male”.
Eppure, nella realtà come nel teatro, anche alla fine rimane qualcosa. In questo caso rimangono i legami umani, rimane l’impegno per la salvaguardia di ogni metro di verde e rimangono tante azioni per sovvenzionare ciò. A noi spettatori rimane una storia contemporanea e vicina, eppur eroica di un eroismo collettivo, umano e nobile, che doveva e deve essere raccontata.