14 Novembre 2025
11:42
Tra farsa e allucinazione. Recensione di “L’uomo, la bestia e la virtù” al Teatro Alessandrino
ALESSANDRIA – “Bisogna essere uomini” è la battuta finale di “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello, una tragicommedia dove le convenzioni sociali generano maschere grottesche che inghiottono l’umanità dei personaggi. Con l’allestimento firmato da Roberto Valerio giovedì 13 novembre si è aperta, presso il Teatro Alessandrino, la Stagione Teatrale di Prosa del Comune di Alessandria con Piemonte dal Vivo in collaborazione con Asm Costruire Insieme e Alexala di fronte ad un pubblico numeroso e in buona parte giovane, grazie ad un percorso di coinvolgimento degli studenti che in questi ultimi anni ha dato i suoi frutti.
Tutto ne “L’uomo, la bestia e la virtù” è giocato sul paradosso, i personaggi indossano un’apparenza che soffoca volontà e passioni, il perbenismo nasconde l’istinto e la bestialità si rivela meno semplicistica del previsto. La trama si basa su un triangolo amoroso formato dalla bestia, un marito (il capitano Perella/Nicola Rignanese ) brutale e assente, che conduce, tra un viaggio per mare e l’altro, una vita extraconiugale in altra città, da una moglie virtuosa e abbandonata (la signora Perella/Vanessa Gravina) e dall’uomo, un professore (Paolino/Max Malatesta) dalla fama irreprensibile e precettore del figlio di lei. Dietro questa facciata, i due hanno una relazione che le convenzioni impongono di celare e che rischia di essere rivelata da una gravidanza. Pe questo Paolino, con la complicità di un medico e del fratello farmacista (entrambi interpretati da Massimo Grigò), somministra al capitano un potente afrodisiaco per indurlo, nell’unica notte passata a casa, a consumare il matrimonio al fine di preservare le apparenze. Tutto ciò in una sequenza di situazioni paradossali in cui si muovono personaggi talvolta aggressivi, talvolta ferini o stralunati, sempre ai limiti della comicità, interpretati da Beatrice Fedi, Franca Penone, Lorenzo Prestipino e Mario Valiani.
L’allestimento di Roberto Valerio segue l’andamento tragicomico del testo, accentua il ritmo nei momenti più paradossali e calca sul registro farsesco. I personaggi si muovono, come da traccia pirandelliana, con movenze animalesche e il loro fare civile cede sempre più all’istinto, sino alla cancellazione del pudore e dell’amor proprio. La sottotraccia registica ha qualcosa di sinistro, dall’intento onirico in senso allucinato. L’ingresso dei personaggi è accompagnato da un tappeto sonoro inquietante (di Anselmo Luisi), tra il thriller e il surreale, le luci (di Emiliano Pona) sono fredde e alienanti, i cambi scena sono effettuati in modo frenetico dagli stessi protagonisti con delle maschere spersonalizzanti, sullo sfondo di una musica stridente.
E’ un’atmosfera rarefatta, che suggerisce un altro tempo e altre discrasie ad un testo già basato su apparenze che crollano e verità che non emergono. E’ una storia che esce dal suo secolo, entra in una scena (di Guido Fiorato) sempre più stilizzata e più glaciale per riflettersi in una macroscopica luna che cala dall’alto e diventa specchio/schermo di un tragico travestimento architettato da Paolino, sempre meno uomo e sempre più bestiale nello spingere, per disperazione, la sua donna nelle braccia di un altro.
Una cornice sinistra in cui si inquadrano le movenze sempre più animalesche di Paolino (un crescendo ben reso da Malatesta), l’enfasi dalle pose plastiche di Gravina e la rozzezza solo apparentemente prevedibile di Perella, un Rignanese ben in parte tra grugniti, scoppi di ira e lucidità finale. Una buona prova per tutto il cast, che si muove tra apparizioni oniriche improvvise, farsa e ferinità. Un allestimento che rende merito all’ambiguità e alla complessità del testo pirandelliano con un tratto cinematografico allucinato, che ribalta tempi e e luoghi per fissare ciò che avviene in un assoluto e incombente presente. In poche parole: il Teatro.