7 Luglio 2014
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Folla e lacrime per don Walter Fiocchi
Una chiesa stracolma ha salutato don Walter Fiocchi, il prete del sorriso, il prete della Terrasanta, il prete anticonformista. Ogni persona ha trovato in lui una qualità e a lui ha quindi attribuito un appellativo. Questo spiega anche la profonda commozione delle tante persone accorse a Castelceriolo per regalargli l’ultimo abbraccio domenica sera. Religiosi, giovani, anziani, cittadini di Castelceriolo, alessandrini, compagni di viaggio, politici, non credenti, tutti, nella graziosa chiesa del paese, hanno trovato posto perché nel cuore di don Walter c’era posto per tutti. C’era posto per tutti coloro che cercano la bellezza di Dio, per parafrasare un passaggio del suo ultimo saluto ai parrocchiani, riportato nel ceriolino di giugno, distribuito domenica sera in chiesa, dopo il rosario. Per ricordare don Walter, mancato domenica dopo una lunga malattia, riproponiamo di seguito proprio l’ultimo saluto tributato alla sua comunità:
“Mi trovo un poco in imbarazzo, perché mi pare giusto e doveroso per una volta parlare non di argomenti “alti”, definiti così certamente con un po’ di presunzione da parte mia!, ma comunicarvi e condividere con voi almeno qualche “notizia” per ciò che riguarda me, la mia persona, la mia salute, il mio stato d’animo, il mio servizio alfa Comunità di Castelceriolo.
Penso che i più sappiano che da un paio di anni ho avuto qualche intoppo di salute. Ho iniziato il 21 aprile del 2012 con una peritonite operata d’urgenza; gli esami fatti in quell’occasione hanno fatto scoprire un tumore al colon, fonte di metastasi ai fegato. Ho perciò iniziato a luglio dello stesso anno alcuni cicli di chemioterapia che hanno poi portato, il 23 aprile dei 2013, ad un intervento per rimuovere il tumore “madre”. Intervento ben riuscito, ma che purtroppo ha dato luogo nei giorni successivi ad una infezione della ferita addominale che mi ha costretto a una lunga lista di medicazioni, cure, antibiotici, visite su visite, fino a giungere alla decisione di una chiusura chirurgica della ferita stessa, visto che a chiudersi spontaneamente non ci pensava neppure! Così il 29 luglio dello scorso anno, altro intervento per ripulire l’area dell’infezione e chiudere la ferita ancora aperta da aprile. Il che ha però comportato quasi tre settimane di semi immobilità e un “laparocele” (ho scoperto allora che è la scomparsa, il ritirarsi della muscolatura da una parte dei ventre, il che ti obbliga ad indossare permanentemente una fascia elastica di sostegno: significa anche che il vostro parroco non ha la famosa “tartaruga”!). In programma mancava solo un ulteriore atto: la ripulitura accurata di tutte le parti malate del fegato a cui si sarebbe dovuto procedere non appena possibile. Purtroppo la famosa “infezione” di cui sopra ha ritardato tutti i passi possibili. La ferita si è chiusa definitivamente solo verso la fine del mese di settembre u.s. Ciò ha comportato l’impossibilità per quasi sei mesi di sottopormi a chemioterapia, con una lieve crescita di due delle lesioni del fegato, ritardando così anche il passo successivo, in quanto lo specialista che dovrebbe operare vuole ottenere attraverso terapia chemio una riduzione delle stesse. Che è ciò che sto facendo da settembre 2013. Tralascio poi una lunga serie di aspetti “minori” che riguardano due vertebre e la schiena (chi ha frequentato la chiesa negli ultimi mesi ha visto che devo stare il più possibile seduto o accomodato su una specie di trespolo che mi consente di giungere senza danni fino al termine delle celebrazioni!). Non è certo per vantarmi che vi scrivo queste cose: è solo perché mi sento, e mi pare giusto, condividere con i miei ‘familiari” quanto sto vivendo. E per giustificare il fatto che mi costringe ad essere a mezzo servizio nei confronti della comunità, non potendo essere sempre una presenza visibile, con la difficoltà ad avere incontri e momenti di dialogo qua e là per il Paese, o con la visita alle famiglie, dovendo a volte chiedere a qualche altro prete di sostituirmi anche in momenti dove vorrei esserci, soprattutto momenti di sofferenza dì qualche famiglia in occasione di lutti, né essere più vicino in tante occasioni ai bambini, ai ragazzi e ai giovani del nostro Paese. Oltretutto anche il prezioso aiuto che mi ha offerto don Luigi negli scorsi anni è venuto a mancare, anche se — ne sono – certo don Luigi continua ad accompagnare il nostro cammino e le nostre iniziative. Vorrei però che comprendeste che la porta della casa parrocchiale è sempre aperta! Se qualcuno passa di qui e ha voglia dì salire per una visita e/o un caffè, suoni senza preoccupazione il citofono e vi vedrò con grande piacere e gioia! Senza alcun timore di disturbare. Un gesto di vicinanza e dì amicizia non può mai essere inteso come un disturbo!
Che dire ancora? Dirò che sono grato a diverse persone che mi sono state e mi sono particolarmente e puntualmente vicine con tutta una serie di piccoli servizi e tanto aiuto per questioni pratiche e quotidiane; dirò grazie a chi ha provveduto sempre alla cura della chiesa, facendo in modo che sia accogliente e sempre dignitosa e ornata di buon gusto; dirò grazie a chi si è fatto qualche volta presente anche solo con una telefonata; dirò grazie al ragazzi e ai giovani che mi rallegrano facendo ogni giorno risuonare le loro voci dal “Campetto”; dirò grazie ai giovani che hanno iniziato ben presto, ancora nei mesi invernali, la preparazione delle attività che rallegrano la nostra estate, con tante proposte di festa, di incontro, di tempo trascorso insieme, di giochi, di allegria serena, di spuntini “fast food” e/o di ottime cene, momenti tutti che aiutano a creare e a mantenere “ponti” tra la gente del Paese, così da aiutarci tutti a non rinchiuderci in casa e a far sì che nessuno si senta solo; dirò grazie ai Confratelli di San Rocco che sì sono assunti l’onere (assieme ad Anna Riccardi) di dedicare forze e soldi alle attività caritative delta Comunità, soprattutto in questo tempo in cui anche da noi qualche famiglia ha sentito i morsi della crisi economica; dirò grazie agli “anziani” che settimanalmente si ritrovano e per piacere della compagnia e per “produrre” sempre piccoli segni da donare alla Comunità in occasione di feste come il Natale, la Pasqua, gli anniversari di Matrimonio, ecc.; dirò grazie all’Azione Cattolica e alla sua proposta di alcuni momenti significativi sia dal punto di vista religioso che comunitario: pensiamo ai giovedì di Ottobre presso qualche famiglia e a qualche momento formativo; o ai giovedì di Maggio nei “cortili”, bei momenti di preghiera e amicizia organizzati dalla “Compagnia della Consolata”; dirò grazie agli Amici dei Cascinali che devono allungare un poco la strada per partecipare alle celebrazioni in S. Rocco o in S. Giorgio, non avendo più la possibilità, se non in alcuni momenti significativi, di una celebrazione nella loro linda e accogliente “cappelletta”, momenti spesso seguiti da una “prosecuzione” dolce della festa; dirò grazie alle catechiste e alla loro generosità e al loro impegno per dimostrare l’interessamento e l’amore della Comunità tutta nei confronti dei suoi membri più piccoli, aiutandoli a crescere nella “vita buona del Vangelo”; dirò grazie a tutti quelli che settimanalmente sopportano i miei sproloqui (le mie omelie), che non riesco ad abbreviare anche quando sono senza voce; dirò grazie a tutti, ma proprio a tutti, anche a quelli che conosco meno, perché tutti insieme e ciascuno per la sua parte ci si sforza – e spero in un ulteriore incremento di sforzo – per fare del nostro Paese una vera Comunità di persone che si vogliono bene nella semplicità, nella cordialità, in un sorriso, in un saluto, in una stretta di mano: sono queste cose che mi fanno sentire davvero parte di una “famiglia”: ii nostro Paese dovrebbe essere sempre e sempre più una “famiglia di famiglie!”
Che dire ancora? Qualcuno è meravigliato per il fatto che normalmente affronto (con voi e grazie a voi) questo momento un po’ “faticoso” della mia vita (durante l’estate scorsa si è aggiunta anche la perdita di mio fratello dopo un percorso di salute simile ai mio) cercando di non farlo pesare, di non lamentarmi, di non cancellare mai dai mio volto il sorriso frutto non della muscolatura ma del cuore… E’ la mia prima esperienza di malattia e di qualche sofferenza fisica, il che mi porta prima di tutto a dire che in fondo sono stato fortunato, non posso essere collocato tra le persone spesso malaticce e fragili dai punto di vista fisico!
Questo sentimento interiore di serenità persistente e senza momenti di “crisi” a che cosa può essere dovuto? Prima di tutto certamente a tutto ciò che ho scritto sopra! Ho poi avuto e ho la fortuna di sperimentare la parte buona della nostra sanità, fatta di medici competenti, appassionati, di grande ricchezza umana e dunque capaci di starti accanto e sostenerti con una parola, un incoraggiamento, sforzi per mantenere fiducia nelle possibilità, autentico interessamento alla buona qualità della vita del malato. Certo, molti tra loro erano già cari amici, ma diversi altri, con il loro atteggiamento, hanno dato vita a nuove amicizie, cose tutte importanti quanto un ciclo di chemioterapia!
“La bellezza salverà il mondo”, diceva Io scrittore russo Fedor Dostojewski. Ecco, tutto ciò che ho scritto proprio questo mi dice: sto facendo proprio l’esperienza della “bellezza”, costituita proprio da tutto ciò che ho elencato finora. Quando si sale sulla montagna, malgrado la fatica, ciò che ci spinge a salire è la gioia che proveremo nello spaziare con lo sguardo oltre le cime.
E tutto questo sta progressivamente purificando e dando nuove direzioni alla mia fede, come forse comprende chi ha l’abitudine di ascoltarmi settimanalmente nelle mie riflessioni domenicali: la fede non è semplice adesione intellettuale, è coinvolgimento radicale, esperienza misteriosa di questo Dio che è altro da noi (non sentimento, non impressione, non scelta ma manifestazione). Nessuna apparizione, per carità (Dio ci preservi dalle apparizioni!) ma la semplice possibilità di fare esperienza interiore tangibile ed inequivocabile della bellezza di Dio. Credo di avere in questi due anni ricuperato proprio questo aspetto della vita cristiana: ripartire dalla bellezza. Ci sono nel mondo e attorno a noi troppe cose orribili; orribile è spesso anche il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica e dello spettacolo. Abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità e bene e bontà. Non è forse questa la fragilità della nostra fede contemporanea? Non è forse questa la ragione di tanta tiepidezza delle nostre Comunità? Non abbiamo forse smarrito la bellezza nel raccontare la fede? Nei celebrare il Risorto? Per molti è noioso credere, giusto — forse — ma noioso. Il Vangelo mi sta insegnando, attraverso il percorso faticoso che sono stato chiamato a compiere, che credere può essere splendido e fonte straordinaria di serenità interiore e, lasciatemelo dire, anche di gioia; perché anche questa gioia ho sperimentato, e sperimento, in questi due anni. Varrebbe la pena di ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l’ascolto dell’interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo, proprio come sul Monte Tabor, il monte della Trasfigurazione di Gesù, per non far mancare neppure qui un riferimento all’altro grande amore delta mia vita, la Palestina e la Terrasanta. Così gli apostoli, scesi dal Tabor, dovranno salire su un altro monte: il Calvario. Lì la loro fede sarà macinata, seminata, resa pura. Ma senza coinvolgimento emotivo, senza reale bellezza, senza entusiasmo, è difficile essere credenti, difficile restare cristiani. Il nostro mondo ha bisogno di bellezza, di armonia. Nei caos dell’eccesso (che di bello ha l’apparenza, ma che spesso nasconde il nulla) il nostro mondo può imparare dal cristianesimo la bellezza della fede, della preghiera, del silenzio, del gesto d’amore verso il fratello.
Forse verrà il tempo dei Calvario… ma ora grazie a voi, la mia Comunità, sto fortunatamente ancora salendo sui Tabor per incontrarmi con la bellezza della fede, con la bellezza di Dio, con la bellezza delle persone che il Signore mette sulla mia strada, con la bellezza di ciascuno di voi.“
Come ricordato da don Stefano Mussi alla fine del rosario, “il tempo del calvario per don Walter è arrivato, ma la Vergine Maria ha posato gli occhi su di lui e lo ha guidato nel lungo viaggio”.
Don Walter non siederà più sulla seggiola della sua chiesa e anche per questo lunedì sera erano tanti i volti rigati dalle lacrime, ma a ciascuno spetterà ora il compito di perseguire quella bellezza che lui aveva trovato negli ultimi anni a Castelceriolo, quella bellezza che riempie il mondo e che bisogna avere il coraggio di ritrovare.
Anche questa sera verrà recitato il rosario, dalle 21, poi la chiesa rimarrà aperta tutta la notte. Il funerale si terrà alle 15 di martedì, sempre a Castelceriolo. Don Walter aveva 64 anni. Si è spento all’hospice il Gelso domenica alle 6.35.