10 Febbraio 2019
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Il conflitto come inferno. Recensione de “La Monaca di Monza” a Valenza
VALENZA – Il conflitto eterno tra spirito e corpo, la separazione lacerante e l’attrazione visceralmente umana della dannazione. Questi i punti drammaticamente salienti de “La Monaca di Monza”di Giovanni Testori con la regia di Valter Malosti, presentato in anteprima nazionale, sabato 9 febbraio, al Teatro Sociale nell’ambito della stagione APRE. Il testo dello scrittore lombardo si basa sullo studio degli atti del processo di Marianna de Leyva, la sventurata monaca manzoniana, per ricostruirne la storia straziante e blasfema. Il verbo prende forma dalla carne straziata, rievoca e risveglia i corpi morti, in una rivelazione torrenziale e violenta. L’allestimento di Malosti punta a valorizzare la parola, amplificata dai microfoni e messa al centro di una narrazione frontale. La tragedia è compiuta, ma si rinnova in continuazione in un conflitto interiore che oppone amore dannato e ordine divino. Federica Fracassi è suor Virginia, al secolo Marianna de Leyva. In lei le parole di Testori (carne, sangue….) diventano tormento che colpisce allo stomaco e poi sale su, con il sapore di un grido disperato. Virginia/Fracassi, Gian Paolo Osio/Vincenzo Giordano e Giulia Mazzarino sono figure separate, inscatolate in gabbie di vetro, che paiono loculi e prigioni. Gli amanti si avvicinano solo per pochi istanti, in una condizione di separazione perenne, la cui crudeltà è esacerbata dalla segregazione creata dalla scenografia (di Nicolas Bovey). In mezzo a loro, nella sua gabbia trasparente, si materializzano prima la madre violata della monaca di Monza, l’incipit del sopruso, poi una suora trucidata da Osio. Giulia Mazzarino le dà voce in uno straniamento sinistro tra ingenuità e perversione, che riflette, in altra angolazione, lo stesso conflitto tra desiderio e obbligo morale, con una vena di squallore meschino. Tutto è parte di un inferno dalla tangibile nebbia umida e densa, dove musiche tetre e suoni fetidi, come ronzii di mosche e latrati di cane, rimbombano nel petto. “Siamo bestie addolorate” e, come bestie prive di orpelli morali, Virginia e il suo amante/demone si rifanno carne per diventare preghiera blasfema. Virginia verrà murata viva ma sopravviverà, apparentemente redenta, per perpetrare la bestemmia, ma anche per gridare un’ultima invocazione a Dio dal fondo della disperazione: “Liberaci dalla nostra morte, carne e sangue”. Non c’è pace, non c’è un attimo di tregua e il binomio Eros-Thanatos sprofonda negli inferi. Rimane, tra tanta morte che sembra di vedere e annusare, una forza dannata che resiste al tempo e alla caducità e che, pur diabolica, non si può non riconoscere come amore.
Una grandissima prova per tutti i protagonisti, una vera esaltazione del testo dell’autore e drammaturgo lombardo. La cesellatura che Federica Fracassi fa di ogni particolare espressivo arriva a livello emozionale e si sedimenta, creando un circuito ossessivo e una fortissima immedesimazione tormentata. E’ una frustata violenta, “La monaca di Monza”, e il sapore del sangue si continua a sentire. Un gioiello che la stagione APRE del bellissimo Teatro Sociale di Valenza ha avuto l’onore di presentare in anteprima e che, dalla prossima settimana, sarà al Teatro Franco Parenti di Milano.
La produzione è di Teatro Franco Parenti/ TPE – Teatro Piemonte Europa / Centro Teatrale Bresciano / Teatro di Dioniso