Autore Redazione
lunedì
18 Luglio 2022
05:13
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Cronaca - Alessandria

Aumento di pensieri suicidi tra i giovani, tra rabbia e malinconia: “Pandemia ha minato lo slancio vitale”

Aumento di pensieri suicidi tra i giovani, tra rabbia e malinconia: “Pandemia ha minato lo slancio vitale”

PROVINCIA DI ALESSANDRIA – Se rispetto al 2020 il mondo ha imparato a difendersi meglio dal covid dal punto di vista sanitario, ci sono però alcune conseguenze che, in un certo senso, sono ancor più difficili da affrontare. Maria Grazia Guercio, psichiatra, psicoterapeuta e analista adleriana dell’associazione Le Mete, ha raccontato a Radio Gold il complicato spaccato di chi deve fare i conti con pensieri suicidi: “Le restrizioni dovute al covid hanno aggravato questo fenomeno soprattutto tra i giovani, in particolare tra i 18 e i 19 anni. Per fortuna la maggior parte non riesce a mettere in atto il proprio intento anticonservativo. La pandemia ha provocato profonde difficoltà di relazione, la caduta dello slancio vitale, un senso di solitudine. Di solito, per quelle persone che soffrono di questi disturbi, nelle ragazze prevale un senso di malinconia e tra i ragazzi è la rabbia il sentimento principale”.

La dottoressa Guercio si è poi soffermata sui cosiddetti “campanelli d’allarme”, i segnali da riconoscere per poter agire in tempo: “La tendenza a isolarsi, a non avere più alcun interesse, a non prendersi cura di sé, a non voler partecipare alla vita sociale, oltre ovviamente a una sofferenza fisica. Ci sono poi quelli che io chiamo suicidi “lenti”, e cioè il cosiddetto fenomeno dell’alcolismo, dell’anoressia oppure l’abuso di droghe. Non sempre il processo di autodistruzione è violento“.

I pensieri suicidi, purtroppo, riguardano persone anche più grandi, in particolare nella fascia tra i 30 e i 45 anni: “In questi casi, oltre alla solitudine, le cause possono annidarsi tra i problemi finanziari e la conseguente interruzione dei propri progetti. In generale chi vuole togliersi la vita può farlo anche per punire chi gli sta intorno, condannandolo ad avere un senso di colpa perenne per non essere riuscito a fare qualcosa”.

Ecco, infine, come poter cercare di invertire la rotta, evitando che la persona possa chiudersi e non accettare un aiuto: “Io raccomando sempre il cosiddetto ascolto partecipativo, la capacità di poter partecipare alla sofferenza di questa persona dal punto di vista della vicinanza umana. Magari può aiutare raccontare a chi sta soffrendo anche le proprie difficoltà, mettendosi così in una sorta di livello paritario. Inoltre, è importante ricordare a questa persona il proprio passato, quando le cose funzionavano, per far ritornare alla mente dei momenti felici. Instaurare un dialogo, però, non è sempre facile, visto che spesso occorre fare i conti anche coi tentativi di aggiramento di queste procedure, magari con delle bugie”.

Foto di Ulrike Mai da Pixabay

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