16 Settembre 2022
05:00
Guerra in Ucraina e crisi energetica mettono a rischio la ripresa delle piccole e medie imprese
ITALIA – Dopo la pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi energetica stanno mettendo a rischio la ripresa di 160 mila Piccole e Medie imprese Italiane. Il Rapporto Regionale PMI 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore, analizza gli andamenti e le prospettive delle imprese che nel nostro Paese impiegano tra i 10 e 249 addetti, con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro. E i risultati non sono confortanti.
Superato il primo duro impatto con il coronavirus, nel 2021 le piccole e medie imprese erano lentamente tornate a crescere. In questo 2022, però, le tensioni geopolitiche, economiche e commerciali associate al conflitto in Ucraina (sanzioni, incertezza dei traffici, restrizioni al commercio ecc.) si stanno trasmettendo al nostro sistema produttivo attraverso una serie di effetti.
In base alle previsioni, il processo di recupero delle PMI italiane potrebbe subire un rallentamento nel prossimo biennio. Nello scenario “base”, i livelli pre-Covid saranno recuperati in tutte le aree già a partire dal 2022, nonostante una decelerazione su base annua del tasso di crescita dei ricavi (+2,4% nel 2022 e +2,0% nel 2023). Al termine del periodo di previsione, l’area che crescerà maggiormente rispetto ai livelli pre-Covid è il Mezzogiorno (+3,8%), mentre il Nord-Ovest farà registrare il rimbalzo più contenuto (+2,4%).
Nello scenario “peggiore” la dinamica di ripresa dei ricavi delle PMI potrebbe subire invece un netto arresto, per effetto di una scarsa crescita nel 2022 (+0,6%) e di una contrazione nel 2023 (-0,5%), che allontanerebbero il recupero dei valori persi durante la pandemia (-1,5% rispetto al 2019). Il Centro ritornerebbe ad essere l’area della Penisola più colpita (-1,9%), soprattutto per effetto della marcata contrazione osservata in Toscana (-3,0%), ma forti ripercussioni si registrerebbero anche nel Nord-Ovest (-1,8%), rallentato dalle performance negative del Piemonte (-2,2%). Nel Nord-Est (-1,3%), e soprattutto nel Mezzogiorno (-0,8%), gli impatti della nuova congiuntura risulterebbero più attenuati, nulli o quasi in Friuli Venezia-Giulia (0,0%), Molise (0,0%) e Campania (-0,1%) che mostrano la migliore tenuta.
Basandosi sulla Tassonomia UE e su una serie di informazioni aggiuntive, Cerved ha definito uno score che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione.
A livello complessivo, le PMI che operano in settori a rischio di transizione alto o molto alto sono poco più di 16 mila (il 10,6% del totale), impiegano 478 mila addetti (l’11,0%) e presentano un’esposizione verso il sistema creditizio di oltre 44 miliardi (il 17,1%). I dati sull’incidenza territoriale delle attività a rischio di transizione riflettono la diversa specializzazione produttiva delle economie locali. Il Sud Italia è l’area geografica più esposta al rischio di transizione, con circa 127 mila addetti coinvolti (14,7%), seguita dal Centro (10,9%) e NordEst (10,1%), mentre il Nord-Ovest è l’area che evidenzia le incidenze più basse (9,6%).
Incrociando le dimensioni analizzate, le PMI che presentano almeno un rischio sono 45.781 (il 29,8% del totale), con un volume di debiti finanziari pari a 87,7 miliardi di euro (il 33,7%). L’area che presenta l’incidenza maggiore di PMI con almeno un rischio è il Centro Italia (36,8%), dove si registra un’esposizione consistente in tutte e tre le dimensioni, seguito dal Nord-Est (34,2%), penalizzato dal forte rischio fisico associato al climate change. Nel Mezzogiorno, dove risultano prevalenti la dimensione del rischio di credito e di transizione, presenta almeno un rischio il 29,4% delle PMI, mentre il Nord-Ovest è l’area con l’incidenza complessiva più bassa (22,7%).
In una fase come quella attuale, caratterizzata da una forte incertezza sugli scenari economici futuri e nella quale sono ancora evidenti gli effetti di due anni di crisi profondissima, i limiti strutturali delle nostre PMI appaiono quanto mai evidenti e rischiosi per la tenuta del sistema di fronte alle nuove criticità generate dai recenti eventi bellici e dalla crisi degli approvvigionamenti di materie prime, in particolare energetiche. Criticità strutturali e congiunturali definiscono un quadro in cui è necessario agire con interventi diversificati, ma parimenti efficaci e soprattutto dedicati al sostegno della competitività delle imprese, vero motore per la ripresa del Paese.
Più specificatamente, alcuni interventi previsti dalla legge di Bilancio 2022 potrebbero rappresentare delle criticità per le imprese. Il rapporto cita, ad esempio, il mancato rinnovo della moratoria di legge per le PMI, associato ad alcune lacune in tema di garanzie pubbliche. Considerate “deboli” le misure fiscali finora previste (ACE, credito DTA e aggregazioni) mancherebbe ancora “un intervento strutturato per la patrimonializzazione” e il rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese.
“Occorre, dunque, creare migliori condizioni e più efficaci strumenti per potenziare la struttura finanziaria e la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti, per accompagnare le imprese in un percorso di crescita e di innovazione che coinvolga anche il capitale umano, rafforzando formazione e riqualificazione professionale per adeguare le competenze alla forte accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare digitali”.