Autore Redazione
giovedì
22 Dicembre 2022
16:44
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Cronaca - Alessandria

Uno studio per ridurre dolore e rischi infettivi per i pazienti affetti da mesotelioma grazie a un catetere

Uno studio per ridurre dolore e rischi infettivi per i pazienti affetti da mesotelioma grazie a un catetere

PROVINCIA DI ALESSANDRIA – Usare un catetere venoso centrale può migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici, diminuendo il dolore e l’ansia durante l’infusione di chemioterapici nonché i rischi infettivi. È questa la tesi da cui parte uno studio promosso dall’Unità di Ricerca delle Professioni Sanitarie, afferente al Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione, diretto da Antonio Maconi.

Nello specifico lo studio portato avanti dall’Unità di Ricerca, la cui referente è Tatiana Bolgeo, si pone l’obiettivo di osservare le condizioni di un gruppo selezionato di pazienti portatori di PICC con diagnosi di mesotelioma pleurico maligno attraverso la somministrazione di questionari specifici e di una scala di valutazione dell’ansia e della depressione.

Il PICC è un catetere venoso centrale inserito tramite una vena del braccio fino all’altezza del cuore nel punto d’incontro tra la vena cava superiore e il ventricolo destro (la parte destra del cuore) . Il suo utilizzo è raccomandato dalle linee guida CDC (Centers for Disease Control) di Atlanta principalmente per i pazienti che si sottopongono a terapia infusionale per oltre 6 giorni. Il PICC, infatti, riduce notevolmente le veni-punture aumentando il confort e il benessere del paziente.

Alla base del miglioramento della qualità di vita, come obiettivo finale del procedimento, vi sono sicuramente l’educazione e l’informazione del paziente sul trattamento. Per questo l’infermiere ricopre un ruolo chiave, non solo per le competenze procedurali, per il posizionamento e la gestione del dispositivo, ma soprattutto al fine di tutelare e garantire la sicurezza del paziente e una corretta e puntuale risposta ai suoi bisogni. Sapere che l’infermiere si preoccupa di alleviare non solo il disagio fisico ma anche quello emotivo e sociale, basandosi sulle necessità strettamente personali e individuali dei pazienti, aumenta infatti il rapporto di fiducia, l’adesione alle terapie prescritte e in generale il senso di sicurezza e accoglienza.

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