2 Luglio 2023
11:29
Una sera a “Il Borgo delle Storie” con Camillo Olivetti raccontato da Laura Curino
GARBAGNA – Fare di un borgo un luogo d’elezione per letteratura e teatro, portare eventi preziosi dove altrimenti non arriverebbero, allargare tutto ciò anche ad una platea di giovanissimi e alle loro famiglie con seminari, spettacoli di burattini e fiabe della buonanotte. Tutto questo succede a Il Borgo delle Storie, che si sta svolgendo negli angoli antichi e incantevoli di Garbagna, dopo un’anteprima a Casasco con lo spettacolo L.E.A.R della compagnia Stregatti. Il Festival, giunto alla sua settima edizione e ideato e organizzato da Allegra de Mandato e Emanuele Arrigazzi, proseguirà in questo e nel prossimo fine settimana fino al 9 luglio. Oggi, domenica 2 luglio, il palinsesto inizia alle 11 con il Laboratorio artistico per bambini con Natale Panaro, continua alle 17:30 con la presentazione del libro “Experimentum” di Matteo Bonafede e alle 18:30 con lo spettacolo “Tempi maturi” con Emanuele Arrigazzi e testo di Allegra de Mandato. Alle 21:45 sarà in scena il concerto recital “Canto per uno” di Valentina Diana, in scena con Enrico Negro. Tutto il programma di domenica 1 luglio e del prossimo fine settimana dal 7 al 9 luglio su https://www.facebook.com/borgodellestorie.
“La filosofia del programma”, nell’intento di Arrigazzi e de Mandato, “è proporre un classico teatrale degli ultimi venti, trent’anni e, contemporaneamente, spettacoli di drammaturgia contemporanea con diverse tipologie di genere”. Ieri sabato 1 luglio, nell’atmosfera un po’ magica di Garbagna, il classico proposto è stato “Camillo Olivetti. Alle radici di un sogno”, un caposaldo del teatro di narrazione di e con Laura Curino diretta da Gabriele Vacis, e subito il borgo si è aperto ad una storia epica. Due capitoli, un prologo e un epilogo dal quale tutto inizia, in un racconto-fiume incentrato su un uomo geniale e visionario, sulla sua città e, soprattutto, su “quella linea materna dell’imparare, sentire, ascoltare…” che ha segnato la sua vita e quella del figlio Adriano. Laura Curino introduce la sua narrazione con l’ipotesi di una relazione fra lavorare e fare arte (sempre travajé si dice in piemontese). Il lavoro dell’ing. Olivetti è stato arte, ha informato di bellezza la sua fabbrica, costruita in mezzo agli alberi visibili da ampie finestre, e la sua città, in un’epoca in cui era impensabile coniugare estetica e benessere con il lavoro operaio. Così il teatro, in quanto arte, può farsi memoria e può fare luce su un sogno anticonformista e illuminato. E’ un raccontare femminile per bocca delle due donne della vita di Camillo: la madre Elvira Sacerdoti e la moglie Luisa Revel, provenienti dai due mondi diversi della colta borghesia ebrea e di quella valdese. La protagonista caratterizza la prima con una sciarpa nera e ne sottolinea la raffinatezza, la cultura, la padronanza di quattro lingue, l’apertura mentale trasmessa al figlio. La sua parlata modenese fa sorridere come il cliché scontato della pretesa mollezza educativa di una donna rimasta vedova. C’è tanta ironia e ci sono tante sfumature di tono a fronte dei luoghi comuni imperanti all’epoca (Camillo Olivetti nacque nel 1868) e ancora oggi radicati. Tutte convenzioni, opportunismi e cautele che l’ingegnere, caratterizzato nel monologo da una voce esigente, capricciosa, perfezionista, sovverte. Ateo, socialista all’epoca della repressione di Bava Beccaris, innovatore e sempre avanti rispetto al suo tempo. Così lo descrive Luisa, una Curino con al collo una sciarpa argentata, dalla voce dolce e materna, capace, lei sola, di consigliarlo e di procurargli il silenzio e la concentrazione a lui necessari. E poi, tutt’intorno, un mondo provinciale, con la borghesia sonnolenta e scettica, quasi desiderosa del fallimento dell’improbabile impresa di costruire prima apparecchi per la misurazione dell’elettricità e poi macchine da scrivere. Ci sono gli operai, legati ad Olivetti da una fiducia conquistata con il dialogo e le ottime condizioni di salario e di lavoro. Pare di vederli mentre salutano, portano la mano al berretto, incarnano la fierezza di far parte di un’azienda dove il lavoro non è sinonimo di avvilimento. Primo tra loro, Domenico Burzio, diventato capofabbrica e collaboratore fidato, sempre presente nella sua semplicità rude e grossolana che fa sorridere e appare tanto concreta. Laura Curino dà voce ad una quantità di personaggi, in un lavoro (e qui ritorna il travajé) corale, dove ogni parola e ogni gesto sono precisi e funzionali a suggerire una tonalità ironica, un cambio di registro o di personaggio, in un affresco che appare infine solenne. La ricostruzione è documentata, i particolari si incastrano nella grande storia e vi rientrano l’evoluzione tecnologica, lo sviluppo perverso oppure umano dell’industria, le guerre. Su tutto una visione riassunta in uno sguardo che comprende lavoro e vita, fabbrica e famiglia da abbracciare insieme. Nella profonda umanità che nulla trascura e nella necessità morale di bellezza e rispetto, ancor più che nella genialità di progettista e imprenditore, sta l’eccezionalità dell’uomo. La stessa sintesi e la stessa complessità si trovano nella narrazione a dir poco magistrale di Laura Curino. E’ un flusso che sgorga dal particolare, si estende al lutto cittadino di Ivrea per la morte di Adriano Olivetti e diventa epico, senza mai perdere il tono giocoso e la sensibilità femminile che ne sono il tratto distintivo. Un capolavoro di teatro di narrazione, che materializza davanti agli occhi eventi e personaggi come immagini alla luce della “filosofia di rispetto per l’uomo, l’ambiente, le sue relazioni” di Camillo Olivetti e della sua utopia. Uno spettacolo che anche ieri sera, come fa da anni, ha incantato per un’ora e mezza il numeroso pubblico de Il Borgo delle Storie, Festival dal palinsesto prezioso, dall’atmosfera incantevole e assolutamente da seguire.