Autore Redazione
mercoledì
12 Luglio 2023
05:49
Condividi
Cronaca - Alessandria

“Perché siete andati a Sao Nicolau?” Ma la domanda è un’altra

“Perché siete andati a Sao Nicolau?” Ma la domanda è un’altra

SAO NICOLAO – La domanda è stata fatta a ciascuno di noi, al rientro da Sao Nicolau, isola dello Stato di Capo Verde. Una delegazione di Radio Gold era andata lì per una missione formativa sulla comunicazione ai giornalisti e volontari della radio comunitaria Ribeira Brava e al rientro ad Alessandria la domanda è stata sempre quella: “Perché siete andati a Sao Nicolao?” Il problema è che la domanda giusta forse, dopo questa esperienza è un’altra, e cioè perché dovremmo andare almeno una volta nella vita a Sao Nicolao.

Sao NicolauSao Nicolau è infatti un’isola che non ha nulla del turismo luccicante delle isole maggiori. Nulla di male, per carità, ma chi è atterrato all’isola di Sal o a Boavista sa di cosa stiamo parlando. Vi diranno delle meraviglie e della bellezza di quei luoghi, ma è onesto riconoscere che i villaggi affacciati sull’Oceano sono l’impronta occidentale di chi ha guardato quelle spiagge selvagge vedendoci solo distese di denaro da far fruttare. Finire in una di quelle strutture vuol dire entrare in una succursale italiana: si parla italiano, si mangia italiano, si incontrano italiani. Tutto solo con qualche vaga sfumatura africana; giusto un pizzico di colore che restituisce un senso alle sei ore di volo. Se uscite da quei villaggi incontrerete alcune centinaia di metri di un  qualunque paese sul mare, lampioni in stile liberty, negozi a ripetizione con alcuni oggetti del posto, braccialetti, bambole capoverdiane, liquori e poco altro. Le spiagge saranno la cosa più veritiera in quei pochi chilometri perché le onde prorompenti dell’Oceano mostreranno le vele dei surf o lo scultoreo corpo di insegnanti di queste discipline. La Capo Verde che la maggior parte dei turisti vi ha descritto probabilmente è questa. Davanti a questa facciata ci sono paesaggi lunari che misurerete solo nel tragitto dall’aeroporto al vostro villaggio. Una strada dritta, lunga, con diverse buche, ficcata in mezzo a polvere e roccia e, se va male, a qualche progetto turistico finito male, malissimo e che giace strappato dal vento impetuoso che solo un’isola sa proporre. Nascosti, dietro alle spiagge e ai lidi, le case umili dei capoverdiani, ingaggiati per rendere uniche e “no stress” le vacanze di chi atterra.

Capo Verde però non è questa. Un volo da Sal a Sao Nicolau è la risposta. Qui, noi di Radio Gold, siamo atterrati per continuare un rapporto avviato dieci anni fa e che aveva dato vita alla radio comunitaria Ribeira Brava. Allora imbastimmo una vera e propria radio retta ancora oggi in gran parte da volontari che hanno continuato a trasmettere, a raccontare un piccolo mondo soprattutto a quanti oggi vivono oltre Oceano. A fine giugno siamo tornati per dare un’altra spinta, per quanto possibile, a quel legame tra chi è rimasto in quella terra e i capoverdiani nel mondo, per dare ancora più voce a un popolo che si sente in mezzo al mare anche se è in tutto il mondo.
La vera Capo Verde nasce (anche) in questa isola. Da lontano. Con tutta la crudezza della storia, del clima, del passato. Un’isola che negli anni ’60 ha conosciuto una sete lunghissima e mortale: l’assenza di piogge per un decennio ha prima falcidiato gli animali, poi le poche coltivazioni, infine le persone. Quelle che allora sopravvissero decisero in buona parte di andare via per sopravvivere, letteralmente. Il grande esodo di quello Stato si chiama diaspora ed è sfociata nella sodade (nostalgia) di chi ha portato nel cuore quella terra, sognando di tornarci. Ecco, appunto, la saudade, quella che noi pensavamo fosse una fantasia, invece è realtà. È dipinta nei murales che ritraggono l’addio di chi è emigrato. È cantata da Cesaria Evora, artista scalza, nata a Capo Verde, interprete accorata dello strazio di chi è emigrato. La canzone, scritta da Armando Zeferino Soares, nato sull’Isola, a Praia Branca, suona nelle autoradio, nei locali e nell’inizio malinconico di quasi tutte le feste comandate.

Sao Nicolau non nasconde nulla, mostra tutto: le strade sono un continuo saliscendi, non ci sono mezze misure. Le persone percorrono questi tratti a zig-zag. Non è una banalità. Le cose si prendono con dolcezza, camminare in verticale, dritti, lungo una salita permette di arrivare prima, è vero, ma in cima finisci senza fiato.

Sao NicolauA Sao Nicolau le persone aprono le porte di casa a tutti. Letteralmente. Durante le feste le donne preparano pentole gigantesche di cachupa, la zuppa tipica del posto, per offrirla a chiunque, prima di tutto agli sconosciuti. Non è ingenuità ma accoglienza ci ha spiegato Kalù. I capoverdiani sono accoglienti. La sua spiegazione è arrivata una sera, durante una cena per salutarci. Affacciati su un cielo nero come la pece, sfiorato dal vento, lui, professore di scuola superiore, si è soffermato sul concetto di accoglienza. Ha raccontato di Willy, sì, quel Willy, Willy Monteiro, morto dopo l’agghiacciante pestaggio nel frusinate ad opera dei fratelli Bianchi. Ne ha parlato perché i parenti di Willy abitano a Sao Nicolao. E Kalù ha subito spiegato che quanto successo poteva accadere ovunque, “non ce l’abbiamo assolutamente con gli italiani“.
A Sao Nicolau c’è Ribeira Brava, un paese fatto di case dalle decine di colori che accompagnano il letto di un torrente sempre in secca, tranne qualche giorno, forse. Lungo quel greto si consumano le feste dell’anno, fatte di musica, tamburi dai rumori ipnotici e coladeras, un sensuale ballo che i portoghesi cercarono di impedire perché troppo sensuale. I portoghesi non sono riusciti a soffocarlo.

A Ribeira Brava, principale paese di Sao Nicolau, la gentilezza dei capoverdiani la si vede all’alba, alle 6. Le donne deputate alla pulizia del borgo spazzano le strade e se qualche senza tetto barcolla e le avvicina loro non li allontanano.  Gli buttano due parole comprensive per non farli sentire isolati e non accettati. Le poche persone in difficoltà hanno sempre un enorme piatto di riso la sera, in qualunque bar (non sono tanti) del paese. Dietro il bancone prima della domanda arriva la richiesta: “Cosa vuoi mangiare?

Sao Nicolau non maschera nulla. In alto, intorno a Ribeira Brava, monti aspri e aguzzi da scoprire, in basso, a qualche chilometro, l’Oceano lasciato solo a un paio di comuni che vivono di pesce, in minuscola parte destinato al mercato locale, in massima parte pronto per finire nella pancia dei pescherecci internazionali.

Le distanze sono minime le attese lunghissime. Non ci sono autobus ma furgoncini che trasportano di tutto, oltre alle persone. Si fermano ovunque, caricano e scaricano. Sono scintillanti e tenuti in modo maniacale, sul cruscotto una pelliccia per riparare dal sole. Chiunque sale, saluta e sorride. Tanto prima o poi l’isola è quella e ci si rivede. Nessuna promessa strana. Solo la sincerità di un posto che continua a rimanere lì, in mezzo all’Oceano, un punto alla fine di una storia. Molti sono andati via per cercare una vita diversa ma hanno lasciato lì quel punto, rimasto scolpito nelle loro teste. Quasi sicuramente tutti i capoverdiani che hanno cercato fortuna nel mondo sono cambiati ma le loro radici nei loro ricordi sono rimaste invariate. Radio Ribeira Brava è lì a dare una voce a un passato perennemente presente che desidera diventare futuro. Siamo andati a Sao Nicolao per aiutarli a raccontare un popolo che ha germogli in tutto il mondo. Siamo stati accolti con una sincerità che ci ha sopraffatto. Abbiamo incontrato un’isola che non ha filtri. E la domanda allora non è “Perché siete andati a Sao Nicolau?” ma perché non ci siamo andati tutti almeno una volta. Sao Nicolau è la scomoda risposta che dovremmo dare a una domanda che cerchiamo di non farci più.

Condividi