Autore Redazione
venerdì
19 Febbraio 2016
17:08
Condividi
Community Gold

L’onirico e immaginifico simbolismo a Palazzo Reale di Milano

L’onirico e immaginifico simbolismo a Palazzo Reale di Milano

Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, se tu ci rendi – fata dagli occhi di velluto, ritmo, profumo, luce, mia unica regina! (C.Baudelaire)

Un allestimento scenograficamente spettacolare e raffinato, che accompagna con luci orientate sulle opere, penombre e toni scuri il percorso de “Il simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Epoque alla Grande Guerra”, l’ultima rassegna  inaugurata  il 3 febbraio a Palazzo Reale di Milano, che si concluderà il 5 giugno 2016. Una retrospettiva  particolarmente affascinante, che accompagna i visitatori in un viaggio avvincente, onirico, visionario, magico, misterioso, evocativo in dimensioni fluttuanti tra sogno e incubi, tra immaginario e delirio, tra sonno e veglia. Un nutrito corpus di oltre 150 capolavori figurativi tra dipinti, sculture e grafiche, tra i più significativi del simbolismo, provenienti da musei nazionali,  internazionali e da collezioni private. Vetrina internazionale con diciotto sezioni tematiche che mette a confronto i simbolisti italiani con quelli stranieri e testimonia la complessità di un movimento che tra fine Ottocento e inizio Novecento, influenzato dalla psicanalisi, si diffuse rapidamente  in tutta Europa, coinvolgendo le arti, dalla letteratura alla poesia, dalla pittura  alla scultura,  alla musica.

La corrente, contemporanea all’Art Nouveau e antesignana del Surrealismo, si opponeva al positivismo e al materialismo del tempo, rifiutava il verismo e i valori formali della società borghese, e nella pittura negava le regole dell’accademismo imperante e dell’impressionismo, recuperando il figurativo, l’antico, il mito. Un movimento difficile da definire per la ricchezza, le tante sfaccettature, ma anche la nebulosità, che si contrappose mettendo in primo piano i sentimenti, il travaglio esistenziale umano, i misteri della natura, gli aspetti emotivi della vita, andando oltre la visione oggettiva della realtà, del visibile per ricercare la dimensione più profonda, nascosta, intima, la luce e l’ombra dell’anima, l’essenza, l’inconscio.

Gli artisti simbolisti cercavano dietro ai simboli  altri significati e  affrontavano tematiche  delicate e talvolta inquietanti e inconfessabili come le dicotomie tra morte e vita, luce e ombra,  Eros e Thanatos,  sacro e profano. I soggetti delle loro rappresentazioni erano sirene o vergini, fate o streghe, mitologiche figure femminili, la donna era  quasi sempre il soggetto prediletto, rappresentata nella sua duplicità umana, a volte angelica, mistica, altre mantide, femme fatale, musa. Così anche la musica che come l’acqua, simbolo di vita, ricorre nelle opere simboliste.

L’arte, nel pessimismo che serpeggiava, diventò l’unico mezzo per ricercare la felicità, il paradiso perduto recuperando leggende e allegorie nel tentativo di creare una dimensione in cui il sogno poteva trasformarsi    in realtà.

Un percorso indubbiamente affascinante il cui  fil rouge é tracciato dai  versi della raccolta  Les Fleurs du Mal, di Charles Baudelaire, vero precursore del simbolismo il maestro dello spleen fu un magnifico interprete dello spirito della corrente, della fuga dal reale, di metafore, di allegorie,  di parole evocative.

 

Nella prima sala l’opera di Joseph Middeleer Una demoniaca (1893), a cui é accostata una copia del libro e un ritratto fotografico del poeta maudit, raffigura con sfumature quasi gotiche, una bella fanciulla, vestita di nero che tra le mani stringe un piccolo libro, ai piedi  piante con fogliame rosso carminio che pare mosso dal vento. Lo sfondo é scuro, il volto illuminato, volge lo sguardo verso l’alto, la rappresentazione simboleggia l’introspezione e il consapevole conflitto tra carnalità e spiritualità “…Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti, ogni giorno d’un passo, nel fetore delle tenebre, scendiamo verso l’inferno, senza orrore” (C. Baudelaire)

Nell’icona della mostra, Carezze (1896) di Fernand Knopff,  colpisce l’ambiguità erotica nell’espressione della ‘donna-ghepardo’ dall’apparente pietrificazione, enigmatica e sensuale nell’abbandono e  negli occhi chiusi, vampiresca negli artigli che ghermiscono la ’ preda’. Conturbante il visionario capolavoro Il Peccato (1908)di Franz Von Stuck, dalle tonalità  preraffaellite che rappresenta Eva. La seduttiva figura femminile nella penombra, il bianco corpo seminudo è illuminato, lo sguardo ammaliatore diretto come quello del serpente boa  che avvolge Eva nelle sue spire. Le tonalità delle squame e gli occhi color lapislazzuli bucano l’oscurità. Gaetano Previati rappresenta la conturbante femminilità di Cleopatra (1888) che nella sinuosa posa sul letto di morte  pare raggiungere l’estasi orgasmica.

 

Dalle sfumature mistiche  invece L’amore alla fonte della vita (1896), di Segantini  e sempre dello stesso autore Dea dell’amore (1894-97) con la donna, quasi nuda, ricoperta da un velo rosso che si confonde con la rossa capigliatura, la posa morbidamente languida e ammiccante.

 Delicata L’onda (1902) di Kupka  con la figura femminile immobile sopra uno scoglio mentre osserva la forza delle onde spumeggianti che si infrangono sulla roccia. L’acqua, metafora di vita, con l’onda diventa il simbolo delle burrasche della vita.Perché il mare è il tuo specchio; tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito non meno amaro….”(C.Baudelaire).

 

Di Joan Brull, magicamente onirico Il sogno (1898), con la donna seduta sulla riva rigogliosa di un fiume, che osserva delle giovani ninfe che danzano sull’altra sponda, dietro la fronda di un salice si intravede la luna che si riflette sull’acqua,.Dall’aspetto mitico-favolista ed erotico Parsifal (1900) di Leo Putz,  e altrettanto affascinante la forza e l’incantesimo  dell’amore della coppia rappresentata mentre si abbraccia all’interno di un giardino ne L’amore (1919) di Galileo Chini, opera  di squisito  cromatismo e decorativismo, dalle assonanze Klimtiane .

Con Orfeo morto (1893), Jean Delville recupera il mito di Orfeo, ucciso dalle Menadi, la splendida testa del musicista galleggia nel fiume, attorno al collo la sua lira e conchiglie vicino al volto. “ E quando all’improvviso il dio la fermò e con dolore pronunciò le parole: Si é voltato. Lei non comprese e disse piano: Chi?(R.Rilke). In Tritone e Nereide (1895) Max Klinger riprende invece la mitologia greca nella rappresentazione del voluttuoso abbraccio tra il figlio di Poseidone e una Nereide, rappresentata come una   sirena, metà donna, metà pesce.

Stupendo nelle luminose cromie e profondamente evocativo  Esiodo e la musa (1891), nell’opera Gustave Moreau  si rifà alla mitologia greca e rappresenta una splendida musa, in forma angelicata che abbraccia dalle spalle Esiodo che tra le mani trattiene una bellissima lira. La musa con la mano sembra voler guidare la mano del cantore.

 

Di intenso impatto emotivo il noto capolavoro onirico L’isola dei morti (1886) di Arnold Boklin, con l’isolotto al centro di una impenetrabile scura distesa d’acqua, simbolo del dolore per la separazione. Tra le rocce, metafora della inaccessibilità del luogo per i vivi, strutture sepolcrali e cipressi mossi dal vento. Nella luce soffusa del crepuscolo una barca si sta avvicinando all’isolotto, simbolo del trapasso dell’anima e a prua una figura irta, vestita di bianco, l’anima del morto. Il buio della notte avanza, l’atmosfera che si respira nell’infinita solitudine, é desolante, il silenzio eterno regna sovrano. Da incubo invece  Lucifero di von Stuck nell’oscurità degli inferi,  ‘l’angelo caduto’ è rappresentato con le ali ripiegate,  seduto e piegato in avanti con una mano vicino alla bocca, in una posa pensante, il suo sguardo è potente,  brace che buca.

 

Sorprendenti nella sezione della Biennale del 1907 i monumentali pannelli del ciclo il “Poema della vita” di Aristide Sartorio, accompagnato da sottofondo musicale, capolavoro onirico, dai tratti scultorei, particolarmente attraente Il giorno che vince la notte (1905) di Gaetano Previati, allegoria dell’aurora che avanza e spazza vie le ultime stelle. “ Quanto mi piaceresti o notte senza quelle stelle la cui luce parla un linguaggio conosciuto. Perché io cerco il vuoto e il buio e il nudo…” (c.Baudelaire)

Poetici anche i disegni a penna de Il guanto (1881) di Max Klinger che  raccontano una storia che inizia con la perdita del guanto di una pattinatrice, raccolto dall’artista. Guanto che simboleggia l’amore perduto e diventa protagonista di altri racconti.

Il  fascinoso percorso si conclude con i pannelli decorativi del ciclo Mille e una notte di Vittorio Zecchin, dalla fiabesca  atmosfera  orientaleggiante.

Una rassegna da non perdere assolutamente, che richiede tempo se volete assaporare al meglio il suggestivo percorso  con  le opere di altissimo livello.

 

Maria Cristina Pesce Bettolo

Info: Palazzo Reale, Piazza Duomo, 12

www.mostrasimbolismo.it

 

Condividi