Autore Redazione
venerdì
16 Dicembre 2022
11:28
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Cronaca - Alessandria

Sino all’ultima battuta. Recensione di “L’uomo dal fiore in bocca, l’ultima recita” al Teatro Alessandrino

Il libero adattamento dell'atto unico pirandelliano con Sebastiano Lo Monaco, Claudio Mazzenga e Barbara Capucci ha aperto la Stagione Teatrale del Comune di Alessandria e di Piemonte dal Vivo
Sino all’ultima battuta. Recensione di “L’uomo dal fiore in bocca, l’ultima recita” al Teatro Alessandrino

ALESSANDRIA – Un gioco di realtà-finzione dove il teatro rappresenta l’attaccamento alla vita. Si muove in equilibrio su questo filo “L’uomo dal fiore in bocca, l’ultima recita”, libero adattamento di Roberto Cavosi da “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello con Sebastiano Lo Monaco, Claudio Mazzenga, Barbara Capucci e la regia di Alessio Pizzech. Lo spettacolo, dopo il recente debutto ad Agrigento, ha aperto ieri, 15 dicembre al Teatro Alessandrino, la Stagione Teatrale del Comune di Alessandria e della Fondazione Piemonte dal Vivo, un cartellone ricco di classici, da Pirandello a Shakespeare a Molière, arricchito da una sezione Off con tre spettacoli di tre compagnie del nostro territorio. Il prossimo appuntamento sarà mercoledì 11 gennaio con “Il mercante di Venezia” con Franco Branciaroli e un cast di dieci attori diretto da Paolo Valerio.

“L’uomo dal fiore in bocca” è un atto unico di Pirandello tratto dalla novella “La morte addosso” ed è un dialogo-monologo tra un uomo malato in fin di vita e un “uomo pacifico”, in un caffè vicino alla stazione, in attesa del primo treno del mattino. L’adattamento di Cavosi lo ambienta in una stanza d’ospedale, dove troneggiano, davanti ad una tenda plasticata, un letto, delle flebo e una bombola d’ossigeno. In una scena gelida, illuminata da luci azzurrognole, un capocomico in procinto di morire (Lo Monaco) e un suo attore (Mazzenga) vivono la tragedia della malattia del primo e la fine del loro fare teatro, proprio alla vigilia del debutto de “L’uomo dal fiore in bocca”. Nella stanza asettica le battute provate tante volte sul palcoscenico ricalcano la realtà, disegnano la morte e si attaccano alla vita. Il protagonista di Pirandello porta lo stigma della morte (il fiore in bocca, un epitelioma dall’esito mortale) e si attacca disperatamente all’immaginazione della vita altrui, per provarne fastidio e coglierne la mancanza di significato; tutto ciò si rinnova, come l’imprescindibile finitezza della vita, ne “l’ultima recita”. La contestualizzazione è attuale, il rapporto realtà-finzione è citato a proposito dei social media, mentre la recita prende corpo e prevale, in una rincorsa all’ultimo respiro e all’ultima battuta. Il capocomico, con alle spalle tanti spettacoli di Pirandello (e qui il testo ricalca la reale carriera del suo interprete), insiste per recitare l’atto unico in un gioco tragico, cui si oppone inizialmente il suo interlocutore. Lo Monaco modula la sua interpretazione su toni di voce sempre più sofferenti, interrotti a tratti da momenti di cedimento. Sarà infine il suo attore a insistere, a sua volta, per portare a termine la recita, in quanto unico appiglio alla vita. Con loro, una straziante presenza femminile (Barbara Capucci), un’infermiera-moglie addolorata che si prende cura maternamente del suo paziente. Nel suo attraversare la scena e abitarla anche in controluce dal retro della tenda, diventa l’ombra del testo pirandelliano, ma anche la coscienza della fine imminente. In quella che gli stessi protagonisti definiscono la drammatica farsa di “due pagliacci beckettiani”, emergono la rabbia e l’impossibilità contro il destino, la sete di vita e la consapevolezza della sua inconsistenza e della sua aridità. Tutto si accentra intorno al letto, in una gestualità limitata che enfatizza la parola, in una prova attoriale di grande essenzialità. Quando la parola viene meno, irrompe nella stanza un rumore sordo, che ricorda lo sferragliare di un treno, cui si sovrappongono suoni di allarmi di macchine ospedaliere. E’ un contesto sinistro, che fa sobbalzare e presagire il peggio, mentre l’ambientazione si apre e viene attraversata da un’altra realtà, quella della stazione del testo originario. E’ in sottrazione e basato sulla sapiente interpretazione del duo Lo Monaco-Mazzenga questo allestimento pirandelliano. I gesti sono misurati, legati alla staticità della condizione ospedaliera, eppure il confronto tra la percezione acutissima e amara del condannato e l’incuranza del suo interlocutore emerge in tutta la sua enormità. L’espediente meta teatrale si presta ad una contestualizzazione contemporanea e ad una riflessione sul teatro, forse un po’ retorica. In sé non è una novità, ma funziona, come funzionano, perché restituite in modo così convincente, le parole di Pirandello, un eterno enigma che si svela inquietando.

 

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