29 Marzo 2024
11:46
Il lato oscuro dell’amore. Recensione di “Le serve” al Teatro Sociale di Valenza
VALENZA – Due attrici entrano in scena, scambiano qualche battuta col pubblico e poi, cambiati gli abiti, iniziano una finzione dove due serve fingono a loro volta altre identità. E’ iniziato così, ieri 28 marzo, “Le serve” di Jean Genet con la regia di Veronica Cruciani, ultimo spettacolo della stagione APRE del Teatro Sociale di Valenza. La stagione è firmata dalla direzione artistica di Roberto Tarasco e da quella organizzativa della cooperativa CMC – Nidodiragno, che ha prodotto “Le serve” insieme a Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano. Dalla prossima settimana inizierà al Teatro di Valenza il nuovo cartellone Genius Loci, una rassegna primaverile dedicata alle compagnie della zona.
La commedia tragica fu ispirata a Genet da un fatto di cronaca nera che divenne oggetto di studio clinico, ovvero l’omicidio senza apparente ragione di una donna e di sua figlia da parte di due sorelle al servizio nella loro casa. Il testo contiene l’abisso che separa classi sociali diverse, all’origine di frustrazione da un lato e indifferenza dall’altro. Soprattutto contiene le complesse derive della pazzia, in una costruzione perfetta di dialoghi serrati e sempre più perversi.
Claire (Beatrice Vecchione) E Solange (Matilde Vigna) sono le due serve; la loro vita ruota intorno alla Signora (Eva Robin’s), da loro amata e odiata, simbolo di uno status bramato e irraggiungibile, causa di un’insoddisfazione feroce che degenera in follia e violenza. In una scena raffinata (di Paola Villani), dove dei flight case si aprono a svelare armadi e costruiscono un’intera stanza dalle tinte gelide ed eleganti, delle didascalie stranianti indicano tre momenti diversi dell’azione, in un gioco sempre più complesso di finzione dentro la finzione. Le due sorelle ripetono continuamente “la cerimonia” dove Claire si finge la Signora, in un’imitazione che ne estremizza gesti e parole, mentre Solange si finge Claire, prima sottomessa, poi dominante sino al limite dell’omicidio, mai raggiunto per mancanza di tempo e di coraggio.
La folle routine è interrotta dalla paura, un elemento scatenante che si innesta su un crescendo di ossessione e di ferocia. Le serve hanno denunciato l’amante della Signora con delle lettere anonime e, dopo il suo rilascio per mancanza di prove, temono di essere scoperte e tentano di assassinarla non più nella finzione, ma nella realtà. Eva Robin’s è una Signora svagata, pomposa e autoreferenziale, priva della consapevolezza della sua alterigia, semplicemente lontana dalle sue serve come un’altra galassia. Il suo ingresso su un trono di flight case, con un cilindro bianco in testa e un completo da uomo, è spettacolarmente efficace e lei sembra splendere del fascino androgino di Marlene Dietrich.
E’ l’eterea e femminile Madame, ma anche l’anima maschile di Monsieur, è un simbolo non solo di ricchezza, ma di successo, di tutto ciò che genera ammirazione e il suo lato oscuro: l’odio. Claire e Solange si definiscono in funzione di questo risentimento (“noi siamo il nostro odio per lei”), ma, allo stesso tempo, odiano se stesse in quanto portatrici di un malessere inestirpabile, odiano l’immagine dell’una riflessa nell’altra (“questo specchio agghiacciante che mi rimanda la mia immagine con un cattivo odore”). Le loro personalità sono permeate dalla stessa nevrosi, ma si esprimono diversamente. La Solange di Matilde Vigna è feroce e apparentemente dominante, sempre tesa alla violenza, mentre la Claire di Beatrice Vecchione modula la voce in toni infantili inquietanti, ha sfumature di dolcezza folle e rivela una determinazione disperata.
Le serve non riusciranno ad assassinare la Signora e, in un’ultima estrema cerimonia, Claire pretenderà di essere uccisa dalla sorella, in un rito per lei liberatorio da una vita disagiata e, per Solange, di affermazione di sé nel crimine. La regia di Veronica Cruciani punta sulla complessità psicologica dei personaggi, sulla distorsione dei loro rapporti, sul legame malato tra le due sorelle e sul contesto sociale e immobile in cui si sviluppa la follia. L’impressione è così vivida che viene facile l’associazione con l’acredine spropositata presente sui social, frutto di disagio e invidia.
E’ difficile interpretare “Le serve” senza eccedere nel grottesco (peraltro lo stesso Genet indicava un’interpretazione non realistica) o senza toni gridati. Matilde Vigna e Beatrice Vecchione esprimono tutta la patologia dei loro personaggi con variazioni di tono, di ruolo e di intensità calibrati perfettamente, senza mai superare quel limite che impedisce un ulteriore crescendo. La loro cerimonia si alterna al “deserto del reale” e infine alla libertà conquistata nel più patologico dei modi, in un trionfo di morte e di male. Genet è oggi considerato un classico, sicuramente nella lettura di Cruciani (con la traduzione del testo di Monica Capuani) la follia e il condizionamento della società e dei suoi modelli di successo sembrano emergere dalla quotidianità. Ne “Le serve” la morte della ragione e il trionfo dell’odio pulsano, generano un’inquietudine che rimane, perché il teatro, quando sa parlare al suo tempo, non si ferma al termine di uno spettacolo. Da vedere.