11 Aprile 2020
07:58
L’evoluzionista Pievani: “Covid-19 come influenza? Tra anni. In natura virus anche più pericolosi, impariamo dai nostri errori”
ALESSANDRIA – In Italia figure come la sua ce ne sono davvero poche. “La mia è una professione e professionalità tipica del mondo anglosassone. Negli ultimi anni sta però prendendo piede anche in Italia“, spiega a RadioGold Telmo Pievani. Bergamasco classe 1970, è professore di Filosofia delle scienze biologiche presso l’Università degli studi di Padova al Dipartimento di Biologia. “Questa didattica è un ibrido tra scienza e filosofia. Per lo più studio e insegno modelli teorici biologici oltre che etica e bioetica“. Ed è con lui che abbiamo voluto fare chiarezza su cosa sia il coronavirus e su come la situazione italiana si sia evoluta dallo scoppio della pandemia.
“Partiamo subito dicendo che si tratta di virus a Rna a singolo filamento. Ovvero siamo davanti a un organismo semplicissimo. Un po’ di materiale genetico circondato da una capsula di proteine che si attaccano alle cellule da invadere“. Oltre alla sua semplicità, chi ci sta attaccando è una sorta di dinosauro dei virus “perché ha origini antichissime, più di tre miliardi di anni. Si tratta di uno degli essere più primordiali che esistano in natura“. Le caratteristiche del coronavirus, “come di quasi tutti i virus, sono quelle della velocità evolutiva e di movimento da ospite a ospite. Basti pensare che i ceppi influenzali stagionali, ogni anno sono diversi e i vaccini si basano su delle proiezioni e valutazioni evolutive rispetto all’anno precedente“. Il fatto che ci stia colpendo così duramente dipende dall’assenza nell’uomo di una qualsiasi “memoria immunitaria. Non abbiamo anticorpi per un virus che si trovava solo negli animali e che ha fatto un salto di specie passando dal pipistrello a noi“.
“Il coronavirus è destinato a cambiare il mondo che conosciamo e le interazioni tra le persone anche dopo la fine dell’emergenza”
Con il passare del tempo “ma si parla di anni” anche il Covid-19 verrà riconosciuto dal nostro organismo e avremo, con ogni probabilità, “un patrimonio immunitario tale da assimilare questo virus a una normale influenza“. Ecco perché a oggi, parlare di immunità di gregge, può essere ambiguo. “Il concetto di per sé non è sbagliato. Sin’ora però gli scienziati hanno testato questa teoria unicamente attraverso l’utilizzo del vaccino. Cercare di immunizzare dal coronavirus la popolazione mondiale in maniera spontanea potrebbe avere costi di vita, oltre che per la sanità, altissimi“, spiega. In Inghilterra il premier Boris Johnson, consigliato anche da scienziati di caratura internazionale, aveva portato avanti questa campagna “sostenendo la possibilità di tutelare unicamente le persone più vulnerabili, lasciando la libera circolazione per la restante parte della popolazione. In questo senso, secondo le stime, i più forti e sani si sarebbero ammalati andando a costituire la tanto sperata immunità di gregge“.
Il vero problema di questo particolare coronavirus “sta nella sua imprevedibilità di comportamento. Questo fa si che una persona abbia sintomi molto lievi e un’altra debba essere intubata combattendo per sopravvivere. Proprio perché si sa ancora così poco del Covid-19 provare la strada dell’immunità di gregge spontanea risulta estremamente pericolosa“. Va inoltre detto che con noi il virus si è trovato particolarmente a suo agio sfruttando tutte le nostre debolezze: “Siamo mammiferi di grossa taglia e piuttosto recenti visto che siamo presenti sulla terra da 200 millenni circa. Anche le nostre abitudini sono ideali per la sua sopravvivenza. Basti pensare che siamo 7 miliardi e mezzo, siamo diffusi ovunque, ci ammassiamo per qualsiasi cosa – dal lavoro alle città passando ai mezzi di trasporto – in più distruggiamo l’ecosistema in cui ci sono gli animali che ospitano questi virus facilitandone il salto di specie“.
Ma su una cosa il professor Pievani è certo: “L’emergenza finirà e lentamente torneremo alle nostre vite normali. È una esigenza che si sente già ora“. Certo è che, soprattutto in un primo momento, “dovremo paghare il prezzo di un duro impatto socioculturale ed economico. Cambieremo il modo di lavorare limitando gli assembramenti e privilegiando lo smart working e almeno in un primo momento ci sarà estrema diffidenza tra di noi per paura del contagio“. La vera sfida sarà quella di evitare che si ripeta quanto accaduto con il Covid-19 con altre malattie. “Questo perché in natura ci sono molti virus anche più pericolosi di questo. Il nostro compito è quello di impedire che facciano il salto di specie come già avvenuto in passato. Con l’Aids, ad esempio, abbiamo pagato e stiamo pagando un prezzo altissimo“.
Per bloccare questo salto evolutivo “bisogna prima di tutto evitare la vendita di animali esotici soprattutto per scopo alimentare e medico. Il coronavirus si è diffuso proprio per questa ragione“. La riflessione deve essere anche più ampia dal punto di vista generale della sanità “dato che siamo stati colti totalmente impreparati a questa battaglia. Bisogna prevedere strutture emergenziali e presidi sanitari che con rapidità si possano fare carico di emergenze di questo tipo. Importante anche la sovvenzione alla ricerca. Chiuderne i rubinetti dei fondi e aprirli solo quando c’è il problema è risultato dannoso“. Ma soprattutto “non smantellare quanto di buono fatto sino a oggi“.