17 Novembre 2014
09:05
Agricoltura in ginocchio: danni alle strutture e campi sott’acqua
Serre spazzate vie, campi di mais appena seminati praticamente cancellati, animali rimasti senza un ricovero. E’ questa il quadro tratteggiato da Coldiretti Alessandria dopo l’ennesima ondata di maltempo che si è abbattuta sulla provincia. La pioggia battente dei giorni scorsi ha generato conseguenze pesanti soprattutto per le colture orticole, fiori e piante. Ora, ha aggiunto l’associazione di categoria, il pericolo deriva invece dal persistere dell’acqua sui terreni che mette a serio rischio la sopravvivenza anche di vigneti e frutteti, che non possono resistere a lungo in un ambiente asfittico come quello creato dall’inondazione.
“Stiamo raccogliendo e monitorando tutte le segnalazioni e verificando con i nostri tecnici l’entità di questo nuovo grave colpo per l’agricoltura alessandrina – ha affermato Simone Moroni direttore della Coldiretti provinciale – Ci stiamo attivando e coordinando sul territorio con le istituzioni e la Protezione Civile per portare soccorsi alle imprese rimaste isolate. I danni però saranno misurabili solo quando l’acqua sarà scesa e sarà possibile constatare lo stato di salute delle coltivazioni, e quindi lo stato dell’arte dei terreni. Insomma, i conti si faranno alla fine”.
Negli ultimi 20 anni, ha aggiunto Coldiretti Alessandria, per riparare i danni di frane ed alluvioni è stato speso quasi il triplo di quanto è stato stanziato per la prevenzione. I dati che emergono dalla Conferenza nazionale sul rischio idrogeologico non lasciano dubbi: sono 8,4 i miliardi di euro di finanziamenti statali dati a politiche di prevenzione a fronte di una spesa 22 miliardi di euro nello stesso periodo per riparare i danni causati da frane ed alluvioni.
“Il bilancio peraltro è ancora più grave – ha aggiunto il presidente provinciale Coldiretti Alessandria Roberto Paravidino – se si considerano le vittime e tragedie familiari che frane e alluvioni hanno provocato. Investire nella prevenzione è sempre più urgente precipitazioni, sempre più violente e frequenti per i cambiamenti climatici in un Paese dove con più di 5 milioni i cittadini italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 i Comuni, 82 per cento del totale, che hanno all’interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione“.
A questa situazione di fragilità territoriale non è estraneo il fatto che l’Italia ha perso negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata per effetto della cementificazione e dell’abbandono che ha tagliato del 15 per cento le campagne colpite da un modello di sviluppo sbagliato che ha costretto a chiudere 1,2 milioni di aziende agricole nello stesso arco di tempo.
“E’ inquietante il dato che emerge dall’Ispra – ha aggiunto il direttore Moroni – Negli ultimi venti anni, infatti, 480 metri quadrati al minuto di territorio sono stati coperti ininterrottamente con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade con la conseguente perdita di aree aperte naturali o agricole capaci di assorbire l’acqua in eccesso. E le conseguenze oggi sono sotto gli occhi di tutti“. Per proteggere il territorio e i cittadini che vi vivono, l’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione nelle città e dall’abbandono nelle aree marginali con un adeguato riconoscimento del ruolo, economico, ambientale e sociale dell’attività agricola.
“La prevenzione deve essere una priorità se non si vuole pagare ogni volta il conto di decine di milioni di euro di danni. – hanno concluso Paravidino e Moroni – Per intervenire, non bisogna aspettare la calamità naturale: servono politiche mirate contro la cementificazione selvaggia e l’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato“.