Autore Redazione
venerdì
19 Maggio 2023
11:32
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Cronaca - Valenza

Caduta e riconciliazione. Recensione di Love me tender al Teatro Sociale di Valenza

La terza edizione di AlPride è arrivata anche a Teatro. Protagonista Shi Yang Shi, attore teatrale, scrittore e noto volto cinematografico e televisivo
Caduta e riconciliazione. Recensione di Love me tender al Teatro Sociale di Valenza

VALENZA – E’ un testo universale, che travalica differenze di genere e di origini, “Love me tender”, prodotto da Nidodiragno/CMC / S.Y.S . Lo spettacolo, presentato ieri 18 maggio al Teatro Sociale di Valenza, fa parte degli eventi di AlPride 23 e approderà al Teatro dell’Elfo di Milano dal 12 al 16 giugno nell’ambito di Pride Month. AlPride 23 è arrivato alla sua terza edizione, dedicata quest’anno alla tematica dell’antifascismo, e culminerà con la sfilata del 27 maggio ad Alessandria.  Shi Yang Shi, protagonista oltre che autore del testo con Renata Ciaravino, siede in platea, mentre Marco Ottolini, sul palco e dietro una consolle, crea un’atmosfera musicale che deflagra improvvisamente. Inizia così, in modo inaspettato, un monologo che pesca ricordi infantili e li attraversa nel tentativo frustrato di diventare dialogo. Marco, il protagonista, è un bambino sinoitaliano (così sono chiamati i cinesi che nascono o crescono in Italia), figlio di genitori troppo occupati e affaticati dal lavoro per ascoltarlo e accompagnarlo nelle sue aspirazioni. Shi Yang Shi dà voce e corpo alle incertezze e all’incanto della pubertà e della prima adolescenza. La sua narrazione dà vita ad una sensibilità giovanissima, che, segnata per lo più da carenze affettive, vela di romanticismo i pomeriggi solitari passati a ballare davanti ai video alla TV o il primo squallido rapporto sessuale, paradossalmente vissuto in modo poetico. Si sorride, c’è ironia, ma prevale la stortura che risuona come i rumori sinistri che cadenzano la narrazione. Soprattutto prevale la mancanza di una controparte, che fisicamente c’è, ma appare disinteressata e anaffettiva. Nato come monologo, “Love me tender” è stato arricchito dalla regia di Marcela Serli, regista da anni impegnata sulle tematiche LGBTTQIA+, da una seconda presenza sul palco. Marco Ottolini si muove rapidamente sulla scena, trasporta gli oggetti che creano ambienti e evocano diversi interlocutori, talvolta dialoga con il protagonista. Diventa il fidanzato da cui Marco dipende e viene abbandonato, la vicina di casa che lo veste con una comica vestaglia rosa, l’immagine fugace e misteriosa di uno dei tanti anonimi amanti. Le delusioni affettive si inanellano sino alla caduta del protagonista nella dipendenza sessuale, sintomo di un malessere esistenziale ben più profondo. La partitura di Love me tender vibra al ritmo della danza. Marco/Shi non può permettersi di frequentare l’accademia di danza, ma balla e dà così forma sia al desiderio di romanticismo sia agli incontri sessuali compulsivi in una dark room. Le sue movenze sono immagini che escono da un universo onirico e diventano reali tanto da turbare, fino al crollo rovinoso (“nel momento in cui esco dalla dark room atterro”). C’è un modo di continuare a vivere e lo si trova cercando aiuto, ma, soprattutto, Marco/Shi attinge una nuova forza nella riscoperta delle sue origini, nelle motivazioni (ovvero nel destino condiviso di un popolo) che hanno impedito ai suoi genitori e a tutti coloro che li hanno preceduti di prestare attenzione e affetto ai figli. “Mi sento ancora quel bambino che qualcuno ha dimenticato di andare a prendere a scuola, solo che ora so perché” ed è proprio nella riconciliazione con quel bambino che stanno la cura e la rinascita. Uno spettacolo di grande impatto, che non lascia indifferenti e obbliga al ragionamento su temi scomodi. Una prova attoriale importante per Shi yang Shi, che dà il meglio di sé nel passaggio da un registro ingenuo e sorridente ad uno ossessivo e patologico, per giungere ad una sobrietà finale che rincuora. Su tutto una gestualità danzata che sa parlare e una precisione di movimenti che trova il giusto contrappunto nell’asciuttezza dei gesti e delle parole di Marco Ottolini. Da vedere per ricordarsi che ci si deve scandalizzare di molte cose, ma non di un testo ottimamente costruito e interpretato che fa pensare, unisce tragedia ad ironia e regala speranza.

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