Autore Redazione
giovedì
18 Giugno 2020
01:07
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Cronaca - Alessandria

Dal mondo dei videogiochi alle missioni: l’alessandrino Nicola Robotti ordinato sacerdote

Dal mondo dei videogiochi alle missioni: l’alessandrino Nicola Robotti ordinato sacerdote

ALESSANDRIA – Domani, venerdì 19 giugno, alle 16, in una celebrazione officiata nel Duomo di Colonia (Germania) dall’arcivescovo della diocesi, Cardinale Rainer Maria Woelki, sarà ordinato sacerdote don Nicola Robotti,  42 anni, originario di Alessandria. Laureato in Scienze politiche, Nicola ha trascorso il suo anno di diaconato – è stato ordinato diacono nel giugno 2019 a Roma – nella casa della Fraternità san Carlo a Colonia. La cerimonia sarà trasmessa on-line sulle pagine web: www.domradio.de, www.ewtn.de.

Dopo l’ordinazione, Nicola lavorerà come vicario parrocchiale nell’unità pastorale Kreuz-Köln-Nord. Insieme a lui, sarà ordinato sacerdote don Riccardo Aletti, 32 anni, originario di Milano; anche egli vive nella casa di Colonia. La Fraternità san Carlo è stata fondata nel 1985 da mons. Massimo Camisasca, attuale vescovo di Reggio Emilia-Guastalla. Oggi è presente con 33 case in 17 Paesi del mondo. Ad oggi conta 138 preti, due diaconi e una trentina seminaristi. Nel 2013 è stato eletto superiore generale don Paolo Sottopietra

Ma che bello sarebbe…
di Nicola Robotti
Nel 2006 vivevo in Canada. Lavoravo per una piccola azienda che faceva testing di videogiochi a Sainte-Adele, un’ottantina di chilometri a nord di Montreal, la capitale del Québec. Si tratta di una cittadina molto piccola, che offriva pochi svaghi, come il pattinaggio sul ghiaccio e l’hockey d’inverno, il calcio d’estate. Le mie giornate erano quasi tutte dedicate al lavoro. Vivevo in un appartamento con alcuni colleghi, per un certo periodo anche con mio fratello che lavorava per la stessa azienda.
Appena arrivato in Canada, avevo subito contattato la comunità di Cl: non volevo perdere il legame con la storia che mi aveva dato così tanto negli ultimi anni a Milano, con Claudio Bottini e gli amici della sua Scuola di comunità. A Toronto avevo conosciuto Daniel, a Montreal diverse famiglie del movimento di Cl e i Memores Domini. Ogni tanto, almeno una volta al mese, cercavo di andare lì dove, presso la Little Italy della città, c’era la parrocchia affidata alla Fraternità san Carlo. Dei preti allora presenti conoscevo solo Jacques che, qualche anno prima, aveva fatto un pezzo di università con me. Poi c’erano Peppino e Luca. Quando potevo, la domenica andavo a messa da loro, che mi invitavano spesso anche a pranzo. Quei momenti, per me sempre preziosi, si svolgevano con grande naturalezza, anche se mi trovavo ad incontrare persone tutte da scoprire. Mi facevano sedere ad una bella tavola imbandita, con il servizio completo di piatti, posate e bicchieri. Si mangiava e si beveva bene. Si stava seduti a chiacchierare con amabilità, ed io mi sentivo sempre accolto e trattato come un re. A colpirmi, erano soprattutto la cura nella preparazione della tavola, l’attenzione a che non rimanessi solo, più in generale un loro modo di stare insieme.
Ho ben chiaro nella memoria il momento preciso in cui, tornando da una di queste visite, mentre alla sera cucinavo nella mia casa di Sainte-Adele, un pensiero mi attraversò la mente: “Ma che bello sarebbe vivere come loro!”.
Nel 2007, all’alba dei miei 30 anni, è finita l’esperienza in Canada e sono tornato in Italia. Ho ricominciato a lavorare nella mia Alessandria, ho ripreso il normale tran tran della vita di tutti i giorni. Però quell’intuizione, quella domanda, rimanevano come un pungolo: “Ma che bello sarebbe vivere come loro!”. Dopo qualche tempo, ha cominciato ad interrogarmi anche il tema della povertà: mi chiedevo come usare i soldi, cosa comprare e cosa non valesse la pena. Con la crisi finanziaria del 2008, la questione si fece ancora più stringente: dovetti lasciare il lavoro e cercarne un altro. Ciliegina sulla torta, nello stesso periodo, il rapporto con una ragazza che mi voleva molto bene mi costrinse a prendere sul serio la mia vocazione e a domandarmi nuovamente cosa chiedevo alla mia vita.
Così, ad un certo punto, mi sono deciso: sono andato a cercare un amico prete e gli ho chiesto un aiuto a leggere quello che mi stava accadendo. “Donge, ma cosa vuol dire questa domanda che ho in testa e che torna ciclicamente da anni, se non sarebbe bello vivere la vita come la vivevano quei preti là, in Canada? E poi, c’è il bisogno di vivere la povertà, e il rapporto con questa ragazza…”.
Allora, la sua risposta mi spiazzò: “Non hai mai pensato di prendere sul serio quella domanda e provare a verificare cosa voglia dire concretamente per te?”. No, non l’avevo pensato. Quella domanda era sempre rimasta così, un po’ appesa per aria, senza al fondo intaccare veramente la mia vita, senza cambiare granché nelle mie giornate. Era come il pensiero di uno che ragiona sulla sua vita, come guardare un bel piatto di pastasciutta, fare una foto, commentarla senza però assaggiare mai il cibo.
Ho iniziato un cammino che, dopo un paio d’anni, mi ha portato a chiedere nel 2012 di entrare nella Fraternità san Carlo, luogo della mia “ispirazione” originale. Così, nel settembre 2013, pochi giorni dopo essere rientrato dal Perù dove avevo seguito un progetto con produttori di caffè e cacao (ma questa è un’altra storia), ho iniziato il seminario a Roma.

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