Autore Redazione
lunedì
16 Agosto 2021
12:15
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Sport - Alessandria

La dedica di Kallon a Gino Strada: calciatore arrivato a Cassine e ora promessa del Genoa

La dedica di Kallon a Gino Strada: calciatore arrivato a Cassine e ora promessa del Genoa

ALESSANDRIA – La dedica del giocatore del Genoa Yayah Kallon alla fine della partita tra Genoa e Perugia fa capire come spesso una sola persona possa cambiare il destino di un’altra e aiutare tutti a comprendere l’importanza delle nostre azioni. Kallon è un atleta che conosciamo bene in provincia. Per lungo tempo da Cassine partiva ogni giorno verso Genoa in treno per coronare il suo sogno: diventare un giocatore di calcio. Quel sogno si è realizzato e oggi gioca con la maglia rossoblu di Genova. Tant’è che venerdì, nella gara di Coppa Italia contro gli umbri, finita 3-2, è stata sua la rete decisiva che ha permesso ai grifoni di passare il turno. Yayah Kallon, vent’anni, della Sierra Leone, ha segnato un gol che vale un sacco. Non per il risultato sportivo ma perché rappresenta un calcio alla vita che avrebbe potuto avere se non ci fosse stato chi, come Gino Strada, ha cambiato il suo destino. Il suo gol lo ha dedicato a lui, al padre di Emergency, un uomo che ha permesso al giovane giocatore di evitare di diventare un bambino soldato. Per questo il suo gol lo ha regalato a Gino Strada. Ecco le sue dichiarazioni alla Gazzetta:

«Venerdì – ha spiegato al giornale sportivo – è stato purtroppo anche il giorno in cui se n’è andato Gino Strada. Un grande uomo, il mondo intero deve dirgli grazie. Dedico a lui la mia rete decisiva contro il Perugia, anche se sono consapevole che non potrà essere certo abbastanza per ringraziare un medico che ha fatto moltissimo per il mio Paese, dove ha costruito ospedali importanti, curando centinaia di migliaia di persone, e pure per tutta l’Africa, aiutandoci pure quando è scoppiata l’ultima epidemia di Ebola nel 2012. Sono molto triste per tutto questo».

«L’alternativa era rimanere lì e diventare un bambino-soldato in una delle organizzazioni locali che reclutavano i ragazzi per farli combattere. Era già successo ad alcuni miei familiari… A quel punto, ne ho parlato con i miei genitori, e alla fine abbiamo preso questa decisione. Da allora non sono più tornato a casa, ma ora sento i miei ogni due-tre giorni. Ieri ho subito avvisato la mamma che avevo segnato con la prima squadra, era felicissima».

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