Autore Redazione
venerdì
20 Marzo 2015
16:57
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Ad un anno dagli sbarchi

Ad un anno dagli sbarchi

Nel marzo 2014, a seguito della prima ondata di sbarchi di profughi provenienti dalla Libia, sono arrivati ad Asti i primi 40 ragazzi africani.

Ci siamo attrezzati in fretta e emergenza per dar loro una buona accoglienza. Non sapevamo ancora che ne sarebbero arrivati ancora molti, di diverse nazioni. Africa, Medio oriente, Asia. Giovani, famiglie, donne, bambini. In tutto più di 500.

Abbiamo aperto nuove strutture di accoglienza, formato operatori sociali, coinvolto la cittadinanza.

E abbiamo iniziato a convivere con questi ragazzi, a conoscerne le pene e le aspirazioni.

Abbiamo ascoltato storie di guerra, miseria, soprusi. Viaggi allucinanti e speranze infinite.

Ci siamo impegnati per fornire a tutti, italiani e migranti, un dignitoso servizio di sostegno, teso a favorire l’integrazione e la coesione sociale.

In poche parole abbiamo fatto accoglienza.

Un anno fa non sapevamo ancora bene dove stavamo andando, la pressione dell’emergenza ci imponeva di trovare soluzioni rapide ed efficaci, senza avere il tempo di valutare bene il contesto in cui ci muovevamo.

Ora, a distanza di un anno, abbiamo le idee più chiare.

Abbiamo lavorato, speso tempo, energie e denaro pubblico non in nome della solidarietà, bensì per creare dei problemi di ordine pubblico.

Sì, perchè nonostante il nostro impegno ad accompagnare questi giovani e vigorosi ragazzi verso l’integrazione nella società italiana, promuovendo corsi di italiano e di formazione, sostegno psicologico e legale, attività sociali e sportive, tirocini lavorativi, ora ci troviamo di fronte al giudizio della Commissione e del Tribunale per il riconoscimento del diritto di asilo.

Commissione e Tribunale che spesso, troppo, quando valutano le condizioni e i vissuti di queste persone, decidono di non riconoscere loro neanche una minima protezione umanitaria.

E così lo Stato italiano, dopo aver speso circa 1.000 euro al mese per accogliere questi ragazzi, spesso per più di un anno, decide di mandarli via, di non riconoscere loro nessun diritto.

E queste persone dove andranno?

Cercheranno ancora una volta di arrangiarsi, e con il risentimento di chi si è visto rifiutato, andranno a sovraffollare abitazioni fatiscenti, a occupare un posto dove vivere.

Resteranno comunque in Italia vivendo di espedienti e sfruttamento, nell’attesa di una sempre più improbabile sanatoria.

Stiamo creando, con spreco di risorse pubbliche, una nuova categoria di invisibili, impropriamente chiamati clandestini.

E lo Stato tornerà comunque ad occuparsi di loro come problema sociale di ordine pubblico.

Sarebbe molto più sensato riconoscere a queste persone un diritto minimo di cittadinanza, un permesso di soggiorno, e dar loro modo di giocarsi le proprie carte nella legalità.

D’altronde perchè allora aver speso così tanto denaro pubblico per creare irregolari?

E invece si opta per il non sense.

A conti fatti, un anno fa se avessimo saputo dove stavamo andando, probabilmente non avremmo accettato di farci complici ed esecutori di questa follia.

Credevamo nel valore dell’accoglienza, della solidarietà, dei diritti. Ci troviamo invece invischiati nelle gestione del disordine sociale.

Non è così che doveva andare”.

PIAM onlus – Consorzio COALA

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