Autore Redazione
lunedì
16 Ottobre 2017
08:12
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Cronaca - Casale Monferrato

A casa con uno zaino pieno di emozioni: il viaggio di Stefania

A casa con uno zaino pieno di emozioni: il viaggio di Stefania

CASALE MONFERRATO – Stefania Miravalle ce l’ha fatta. Il suo viaggio a piedi dal Messico al Canada in sei mesi è riuscito. Stefania, 31 anni, laureata allo Scientifico Balbo di Casale e ora dipendente di una azienda a Londra, era partita il 12 aprile per percorrere oltre 4 mila chilometri e aiutare Casa Hogar Illary’Ika, una casa di orfani in Perù. Al rientro dal suo viaggio l’abbiamo raggiunto per farci raccontare la sua avventura.

Come è stata questa esperienza?

Questa esperienza mi ha cambiato la vita. Ogni volta che prendo un caffè ora mi sento fortunata. Mi ha insegnato cosa vuol dire stare senza luce, con poco cibo, con solo l‘acqua che mi portavo sulle spalle per bere e per cucinare.  Anche se naturalmente ogni 6-9 giorni sapevo che ci sarebbe stata una città, una doccia e avrei avuto la mia brava carta di credito per comprare cibo e ricaricare il mio telefono, ogni volta che mangiavo una barretta veramente dovevo pensare se quelle rimanenti erano abbastanza per arrivare al rifornimento successivo. Con questo, non voglio dire che capisco perfettamente tutto quello che provano le persone meno fortunate di me, ma almeno posso comprendere il significato delle immagini o delle parole di chi deve percorrere ogni giorno chilometri e chilometri per accedere ad una sorgente d’acqua, o chi fugge dalla guerra e viene criticato per avere uno smartphone. Se dovessi perdere tutto, se dovessi scegliere un solo oggetto da portare con me, se dovessi lasciare tutto quello che ho, compreso il mio zaino, sceglierei il mio telefono

Il viaggio è stato impegnativo, 4 mila chilometri a piedi, affrontando situazioni differenti. Alla fine è stato facile o difficile?

Pensavo sarebbe stata molto molto più facile. Avevo percorso il Cammino di Santiago nel 2015 e da sempre ho frequentato le Alpi Valdostane. Ma non avevo fatto bene i conti con il dislivello della Pacific Crest Trail, la neve, il caldo torrido del deserto e la neve, il tutto portando la mia casa sulle spalle. Tanto per fare un esempio, il primo giorno sono partita bella motivata, percorsi 20 miglia ho settato la mia tenda e sono andata a dormire convinta che quella sarebbe stato la mia velocità media. Il giorno dopo ero così distrutta che non credo di aver raggiunto le 10 miglia. La mia tenda era completamente bagnata, doccia mattutina gratis, poiché mi ero fermata di fianco a un lago, in una depressione del terreno. Grosso errore, ma si impara sulla propria pelle, sbagliando e aggiustando il tiro i giorni successivi. 

Avevi detto che saresti partita per apprendere nuove storie: quali persone hai conosciuto e quali ti hanno colpito. 

Ho incontrato una discreta varietà di persone, anche se la grande maggioranza degli “hikers” (camminatori è la migliore traduzione che riesco a trovare) è di razza caucasica (questo articolo prova a spiegarne le ragioni con discreta accuratezza secondo me https://newrepublic.com/article/114621/national-parks-popular-white-people-not-minorities-why ). Non posso quindi raccontare molte storie di personaggi esotici, a parte forse la storia di un ragazzo giapponese che non spiaccicava una parola di inglese ma che viaggiava con un gruppo di tedeschi che lo avevano amorevolmente adottato senza necessariamente parlare con lui.

Le due persone che mi hanno accompagnato per quasi 4000km sono Jacqueline e Mike. Jakie lei è una persona straordinaria, giornalista e produttrice televisiva per una società privata berlinese di 51 anni. Solo per intenderci, ha vissuto e documentato in prima persona la caduta del muro di Berlino e ha prodotto la versione tedesca di The Voice. Conosce migliaia e migliaia di film a memoria e ricorda attori e direttori, oltre che frasi celebri. Certi giorni camminavamo lei di fronte e io subito dietro e lei mi faceva letteralmente “vedere” interi film con una narrazione vivida e incredibilmente dettagliata. Durante il percorso ha perso circa 30kg, essendo partita sovrappeso. È stato incredibile vedere la sua trasformazione fisica e lo sforzo mentale che le è servito per resistere nei momenti più difficili, ma ha decisamente vinto la sua sfida.

Mike invece è un tecnico IT di Dresden e ha vissuto interamente la sua vita nel raggio di 20 km nella Germania dell’est. Dopo una storia durata 15 anni, la sua ex fidanzata ha sposato un imprenditore spagnolo. Lui ha deciso quindi di iniziare a viaggiare e di tornare a studiare. Lo scorso anno ha percorso l’Annapurna trail in Nepal (dopo il suo racconto anche io vorrei andare!) e dopo aver concluso il suo master serale in Maggio quest’anno, ha deciso di lasciare il lavoro per percorrere la PCT. È convinto che al ritorno potrà facilmente trovare un lavoro, ma dice che fino a gennaio preferisce percepire la quota di disoccupazione statale e vivere con la sorella. Il ritorno alla vita reale è dura!

La combinazione di queste due personalità, così differenti, lei manager estroverso, lui disoccupato introverso, è risultata in una amicizia assolutamente esilarante… mi ricordavano a tratti la coppia Mondaini-Vianello, anche se loro erano ben lungi dall’essere una coppia.

Hai vissuto momenti di sconforto?

Si, parecchi, anche se sempre superati grazie ai miei compagni di viaggio e all’incredibile natura circostante. Arrivati a Kennedy Meadow, per esempio, era chiaro che entrare in Sierra il primo di giugno sarebbe stato al di là del mio livello di tolleranza del rischio. Quest’anno il livello di neve era del 200% maggiore della media, record raggiunto l’ultima volta nel 2011. Si parla di circa 30m nei punti più innevati, specialmente sul versante nord dei picchi, che si avvicinano (e superano sul Forester Pass) i 4000 metri. Durante la traversata del deserto ero convinta che con le ondate di caldo la neve si sarebbe sciolta in tempo, ma non è stato così. Il gruppo di circa 12 persone con cui viaggiavo in quel momento, tutti ragazzi sui 20 anni, ha deciso di entrare comunque in Sierra, ma io non me la sono sentita di comprare ramponi e rompighiaccio. È stata dura, durissima. Giorni di indecisione e conflitto interno. Ovviamente i problemi seri della vita son ben altri, ma avevo investito tutta me stessa, oltre che tempo e denaro, in questa avventura e mollare senza neanche provare mi bruciava. D’altro canto, rischiare la vita per una camminata mi sembrava senza senso. Alcuni di coloro che si sono addentrati hanno poi desistito dopo una settimana, altri mi hanno mandato video di attraversamenti di fiumi in piena da far accapponare la pelle. Col senno di poi, quindi, sono felice di aver percorso prima il Nord California e l’Oregon e poi successivamente la Sierra in luglio, insieme con Jacqueline e Mike, ma per i puristi fare il percorso “non in linea” non vale. 

In generale io soffro il freddo e i momenti più difficili si sono verificati quando la temperatura notturna era tale da far gelare l’acqua nelle bottiglie. Tutto diventa estremamente complicato, non riuscivo a dormire più di poche ore e mi svegliavo tremando. Quindi cuocevo in tenda due pacchi di ramen istantaneo e iniziavo a camminare ben prima della luce del sole, con la lampada a testa, per potermi scaldare. In quei momenti mi chiedevo a volte che diavolo ci facessi lì, anziché essere nel mio letto a casa. Ma poi c’erano i colori dell’alba e il motivo di essere lì tornava ad essere chiaro. 

Quale momento è stato il più emozionante. 

L’arrivo. Ogni volta che guardo il video amatoriale che ha ripreso un amico che ci aspettava al monumento sulla frontiera America-Canada, mi viene la pelle d’oca. Sei mesi di fatica, risolti in un secondo, il momento in cui vedi il monumento. Una esplosione dentro, emozioni indimenticabili condivise con persone che diventano fratelli e sorelle di vita. In generale ogni volta che raggiungi un passo o un picco, il tuo corpo produce adrenalina e endorfina che ti fanno sentire come in paradiso. Considerando che il movimento in generale genera una sensazione di benessere grazie a tali ormoni, se si considera che sul trail ci si muove circa 12-14 ore al giorno, ogni giorno, si può comprendere bene il grado di beatitudine che si raggiunge. Se ad esso si aggiunge un paesaggio mozzafiato e la soddisfazione di raggiungere la sommità di una montagna…

Quali le cose più belle che hai visto. 

La sommità di Mt Withney è stata una delle viste più belle. Non è sulla Pcific Crest Trail, ma è solo a 16 miglia di distanza ed è la più alta montagna Americana (escluso Alaska), con 4421 metri di altezza (Mt Bianco è 4810 m, tanto per avere una idea). Sono salita senza zaino, quindi mi è sembrato facilissimo! Abbiamo dormito in un lago ai 4 miglia dalla sommità e poi siamo arrivati in vetta giusto dopo l’alba. Bellezza mozzafiato. 

Ci sono stati dei momenti di pericolo durante il tuo viaggio?

Mi sono spaventata abbastanza in due occasioni. La prima nel deserto, stavo camminando tranquillamente con gli auricolari posti quando a un certo punto ho visto un serpente a sonagli alzarsi sulla coda in posizione di attacco a meno di un metro da me. Ho fatto un salto indietro che credo manco alle olimpiadi. Lui mi aveva probabilmente avvertito da tempo con la coda di stare in dietro, ma io non l’ho sentito. Pensavo mi esplodesse il cuore. Comunque un mio compagno di viaggio gli ha tirato da debita distanza della sabbia negli occhi e il serpente si è defilato. Un altro hiker è stato morso e per fortuna è riuscito a chiamare un elicottero di soccorso con un apposito dispositivo con localizzazione GPS (io non ce l’avevo per esempio), ma all’ospedale gli hanno addebitato $150.000 di fattura per le cure. Purtroppo, non aveva assicurazione sanitaria ed ora deve pagare per anni e anni (io avevo l’assicurazione sanitaria, ma non per intervento di un elicottero). 

La seconda volta è stato nel Lassen Volcanic Park, in Nord Clifornia. Come spiegato precedentemente, io ho percorso il Nord Clifornia in giugno, quando c’era ancora neve (non 30m come in Sierra e comunque il nord Clifornia è quasi pianeggiante, quindi molto meno pericoloso). Lo scioglimento della neve ha provocato l’ingrossamento dei fiumi, sui quali non ci sono ponti di attraversamento in California. Sono stata sprovveduta e anziché passare nell’acqua, togliendo opportunamente i vestiti e chiudendo tutto il possibile in sacchetti di plastica, ho deciso di passare sopra a un tronco. Ma son scivolata nell’acqua torrenziale che mi ha trascinato giù. Sono poi riuscita ad aggrapparmi e un mio compagno di viaggio mi ha aiutato a tirarmi fuori, ma ho perso telefono, ipod e tutto era completamente bagnato.  Un bello spavento! 

Cosa ti ha lasciato questo viaggio. 

La voglia di ripartire! Oltre che ricordi indelebili e amicizie per la vita. 

Che effetto fa ora tornare al lavoro e alla vita quotidiana.

Un effetto strano. Da domani ricomincio a lavorare. Mi sento come in una bolla, come se avessi qualcosa di diverso da tutti gli altri, che però non posso spiegare né condividere con la gente “normale”. Inoltre operazioni quotidiane che dovrebbero essere automatiche, richiedono ora investimento di energie da parte mia. Per esempio, faccio fatica a ricordare che devo sempre prendere le chiavi e il portafoglio per uscire. E mi sembra di avere un sacco di roba inutile. Spero di riadattarmi presto!

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Il deserto roccioso della California
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Uno dei luoghi in cui Stefania ha dormito
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La tenda in California
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Stefania con i suoi compagni di viaggio
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Sommità del monte Withney
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Ponti di attraversamento in California
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Il serpente a sonagli incontrato da Stefania
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