Autore Redazione
martedì
30 Aprile 2019
01:14
Condividi
Cronaca - Alessandria

Confartigianato: in Piemonte 79mila imprese artigiane danneggiate da lavoro sommerso

Il settore più colpito è quello delle costruzioni
Confartigianato: in Piemonte 79mila imprese artigiane danneggiate da lavoro sommerso

ALESSANDRIA – La provincia di Alessandria è la terza in Piemonte a subire le conseguenze più pesanti per il lavoro nero. Lo denuncia Confartigianato Piemonte sulla base dei dati Istat 2017. Le imprese artigiane alessandrine esposte al fenomeno sono 7.106 contro le 40.745 di Torino e 11.618 di Cuneo. Circa 79mila invece, il 65,8% di quelle registrate nelle Camere di Commercio, sono quelle complessive in Piemonte sotto attacco da parte di “aziende fantasma“, con un tasso effettivo di lavoro non regolare che raggiunge l’11%.

Il dato piazza la regione all’undicesimo posto della classifica nazionale. Costruzioni, autoriparazione, produzione di beni, somministrazione di servizi alla persona, trasporti, alloggio, ristorazione e agricoltura sono i settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale del sommerso anche se nessuna professione più dirsi immune dagli attacchi dell’irregolarità aziendale.
“La contraffazione, l’abusivismo, il lavoro nero – commenta Adelio Ferrari Presidente Confartigianato Alessandria – sono tante facce di un fenomeno che colpisce l’economia, i consumatori e svilisce il made in Italy. Non significa solo minor reddito per gli imprenditori onesti, ma anche migliaia di posti di lavoro in meno per i nostri giovani, ricchezza che alimenta organizzazioni malavitose, rischi per la salute e riduzione delle entrate fiscali che poi devono essere compensate dai contribuenti onesti. Confartigianato Imprese Piemonte, è da sempre in prima linea per contrastare con ogni mezzo questo fenomeno, promuovendo una più efficace legislazione a tutela di imprese e consumatori”.

In Piemonte, il settore più colpito, come è noto, è quello delle costruzioni dove il sommerso concorre slealmente con 50.140 aziende artigiane (63,6% del totale delle esposte). Seguono i servizi alla persona con 15.913 (20,2%), i trasporti e magazzinaggio con 6.702 (8,5%), l’alloggio e la ristorazione con 3.448 (4,4%), i servizi di informazione e comunicazione con 1.077 (1,4%), l’agricoltura e la pesca con 769 (1%), l’autoriparazione con 377 (0,5%), l’istruzione con 179 (0,2%), la fabbricazione di prodotti chimici con 123 (0.2%) e l’industria estrattiva con 49 (0,1%).

Il sommerso, l’abusivismo e l’illegalità che contraddistinguono l’economia sommersa rappresentano un grave fenomeno di concorrenza sleale – sottolinea Felici – che costringono le imprese regolari a chiudere, perché non riescono a far fronte alla concorrenza e ai costi che un’impresa, regolarmente iscritta, deve affrontare. Purtroppo la crisi che stiamo attraversando sta accentuando questo fenomeno – continua Ferrari – c’è chi fa il doppio lavoro, chi percepisce la cassa integrazione o è in mobilità ma il fenomeno più grave riguarda chi decide di chiudere bottega e lavorare a casa per non essere sommerso dalle tasse. Ma chi si sottrae alle tasse opera senza rispettare le leggi, assottigliando il gettito alle casse dello Stato e minacciando al tempo stesso la sicurezza dei consumatori.”

“Siamo anche preoccupati – chiosa Ferrari – per l’effetto che potrebbe scaturire dal reddito di cittadinanza. Pensiamo infatti che, quando sarà a pieno regime, ci sarà un’impennata di lavoratori che si butteranno sul lavoro nero per risultare disoccupati e poter percepire il reddito“.
Il nostro compito come associazione datoriale – conclude Ferrari – è quello di tutelare gli artigiani regolari, quelli che sono quotidianamente impegnati a contrastare l’illegalità che li colpisce due volte, nel reddito e da contribuenti onesti.”

Secondo stime del 2015, l’economia sommersa nazionale avrebbe generato un valore aggiunto di circa 190miliardi di euro, pari all’11,5% del PIL, di cui ben 77 riconducibili al lavoro irregolare. “Una grave minaccia per le imprese regolari dell’artigianato, deriva dall’abusivismo“. Sulla base degli ultimi dati disponibili sui conti nazionali, nel 2015 sono 3milioni e 724 mila le unità di lavoro equivalenti non regolari, occupate in prevalenza (71,2%) come dipendenti, con 2 milioni e 651 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità di lavoro equivalenti indipendente non regolari (28,8%). Si conta 1 occupato indipendente non regolare ogni 5,7 indipendenti regolari. La rilevanza del fenomeno del sommerso in Italia crea la situazione paradossale secondo cui il lavoro sommerso è maggiore di quello della Pubblica amministrazione: nel 2015 infatti le 3.723.600 le unità di lavoro equivalenti non regolari superano dell’11,6% (388.000 unità in più) le 3.335.600 le unità alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.
Sono diversi i meccanismi attraverso cui agisce la concorrenza sleale del sommerso: le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi e mettono fuori mercato le imprese regolari con analoghe funzioni di produzione; l’evasione fiscale consolida il gap tra le aliquote fiscali pagate dalle imprese in regola e le imprese che evadono, dato che il mancato gettito rende difficile politiche fiscali espansive tramite la riduzione delle aliquote fiscali che risulterebbero a vantaggio delle imprese regolari; non si amplia la dimensione delle aziende: le imprese che evadono hanno una minore propensione all’investimento e all’ampliamento del volume d’affari e nel contempo spiazzano gli investimenti delle imprese che non evadono e che non trovano redditività adeguata per l’ampliamento delle dimensioni aziendali.

Condividi