Autore Redazione
sabato
4 Novembre 2017
07:00
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Eventi - Valenza

Tra lectio magistralis e ironia. Recensione di “Il registro dei peccati”

Tra lectio magistralis e ironia. Recensione di “Il registro dei peccati”

VALENZA – E’ un viaggio rapsodico in tre tappe “Il registro dei peccati” di Moni Ovadia, che ha inaugurato, venerdì 3 novembre, la Stagione APRE del Teatro Sociale, di fronte ad un pubblico che ha affollato la sala e ha mostrato di apprezzare uno spettacolo che spazia dalla lectio magistralis all’ironia.

Quello che Ovadia descrive e interpreta è un mondo fatto di spiritualità, il colore delle tele di Chagall, che dipingeva vedendo oltre il grigiore. Una frase di Teillard de Chardin, scritta in oro sulla sinagoga di New York, è lo spunto per un racconto che contiene in sé mille altri racconti concatenati. Il mare comune è la cultura khassidica, la tradizione culturale degli ebrei della diaspora, nata nell’Europa centro-orientale, ed è un incontro con un pensiero estatico-contemplativo, apparentemente ingenuo, ma spiazzante per logica ferrea.

La prima tappa è proprio legata alla tradizione del racconto: la Torah stessa, il Talmud, le storielle khassidiche. Tutto si collega e rimanda ad una capacità di ricreare immagini e mondi che è totalmente contrapposta alla piattezza dei media. E’ qui che la capacità affabulatoria supera la pura tecnica o l’espediente spettacolare. Ovadia spazia tra scritture sacre, storielle impreziosite dall’accento mitteleuropeo, preghiera e accenni di amicizie e incontri con la naturalezza di chi accoglie in sé una tradizione del raccontare, facendola propria e traducendola in uno stile semplicemente vero e privo di fronzoli.

Il canto è il secondo tema/passaggio, inteso come espressione più intima dell’identità, come realtà preesistente all’uomo. Nulla ha un significato isolato, tutto porta ad una dimensione altra, ad un piano di differente comprensione. In ciò si colloca l’umorismo, terza tappa del sorprendente excursus, nella sua funzione di strumento poderosamente interpretativo. Ed è l’umorismo che attinge alla tradizione yiddish che ha reso famoso Ovadia e che fa sorridere, sorprendendo per arguzia. Pare di intuire il mistero e le vie intricate per avvicinarcisi almeno un po’, suggerite da un ebreo dichiaratamente ateo, che afferma che l’ateismo è la condizione attraverso la quale comprendere il monoteismo.

Una grande maratona affabulatoria, preziosa, ricchissima di rimandi storici e culturali, che obbliga all’attenzione, fa sorridere e fa a meno del ritmo giornalistico, di basi sonore o di proiezioni. Solo un interprete, un cantastorie ironico e garbato che sa fare teatro nel senso più alto.

Un ottimo inizio per la stagione APRE, coordinata dal direttore artistico Roberto Tarasco, e un’ottima risposta del numeroso pubblico del Teatro Sociale di Valenza.

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